15 settembre 2021

CORONAVIRUS, SCIENZA E LIBERTÀ

Ho sempre ritenuto che la linea più breve tra due punti fosse la retta, ma guardando alle posizioni sul coronavirus di alcuni intellettuali e forze sociali, oltre che dei ribellisti anarcoidi, ho l’impressione che oggi da noi (ma non solo da noi) per taluni sia invece l’arabesco. Si è visto ben poco contro il regime di vera segregazione coatta chiamato lockdown, pericolosamente costoso e corredato di mascherine obbligatorie, durato per molti mesi, imposto assai duramente e di (ahimè) non grande efficacia (non si vede, sui grandi numeri, una chiara, evidente, conclamata, differenza statistica tra Paesi che hanno chiuso molto, poco o per nulla), mentre è in atto una effervescente mobilitazione contro i vaccini, che, diffusi ormai in miliardi di dosi, stanno dimostrando, con una invece enorme e chiara evidenza statistica, di salvare davvero la gente con rischio minimo e, in più, comportando solo una molto piccola e ben limitata perdita di tempo e libertà. Ho sempre ritenuto che, in materia di ricerca scientifica, fosse il metodo sperimentale con la complessa discussione, analisi e interpretazione dei suoi risultati, fatta tra i competenti fino a un loro il più possibile concorde consenso, la procedura corretta per arrivare a “conoscere per deliberare”, tanto da parte dei protagonisti del mercato che da parte delle autorità democratiche e così in effetti è stato, dall’Illuminismo in poi e per due secoli nei Paesi liberali. Ma, oggi, la società psicologica di massa, così come ha trasformato i tifosi di calcio in milioni di pretesi direttori tecnici da bar, con la pandemia ha reso le brave massaie, i disinvolti opinionisti e gli attivisti politici, dei convinti e vocianti virologi, patologi e statistici, che, pur molto divisi, pretendono tutti però di essere subito ascoltati e seguiti, anche se non si sa bene come e perché. Il dibattito scientifico, necessario sempre e specie di fronte ad ogni fenomeno nuovo, che di norma si svolge tra esperti secondo la sequenza: ipotesi, teoria matematicamente definita, teoria sperimentalmente confermata, tende invece sempre più a traferirsi sulla pubblica piazza della comunicazione di massa, dove le semplici ipotesi, all’inizio naturalmente differenti, vengono presentate come compiute teorie contrapposte, diffondendo la falsa convinzione che la scienza sia incapace di arrivare a conoscenze reali ed acquisite, mentre gli scienziati (veri o presunti), sollecitati in ogni modo, vengono strumentalizzati e trasformati in combattenti nell’arena da una democrazia mediatica degenerata in demagogia.

Ho sempre ritenuto che la scienza debba avere un atteggiamento di neutrale obiettività nello studio della realtà che ci circonda, il che non vuol dire affatto che, al di là del puro dato scientifico, non vi siano poi dei valori veri, vari e diversi, da salvaguardare, ma vuol dire che i dati scientifici non possono essere alterati per renderli funzionali ad una o altra tesi. Quando però la tifoseria politica spinge gli schieramenti contrapposti a “filtrare” (prima di tutto a se stessi) le informazioni per vedere, considerare e diffondere solo quelle considerate favorevoli al proprio partito preso e per di più senza nessuna considerazione della attendibilità e soprattutto della validità generale dei dati esaminati, viene falsato il dibattito e rifiutata la conoscenza.

I “tifosi” di un certo comunismo infantile, quando, con violenti accenti di indignazione, indicano al pubblico ludibrio gli aperturisti (riservando ovviamente a sé il monopolio del senso civico) con argomentazioni drammatiche e del tutto generiche sui milioni di morti o sulla desertificazione del mondo, forzano e confondono la realtà per suggerire che, in fondo in fondo, gli “altri” siano degli untori e in qualche modo quasi corresponsabili delle immancabili catastrofi. Ma le persone di destra, la mia parte, di cui pure apprezzo moltissimo i dubbi e le resistenze (in tutto il mondo) alla allegra facilità con cui i falsi progressisti si sbarazzano di una libertà che non hanno mai amato, non possono e non devono mai stravolgere a loro volta i dati, fino a confondersi con quegli oltranzisti che negano i vaccini, quando non l’esistenza stessa del virus. La paura indotta e la negazione della realtà sono entrambe pessime consigliere.

Ho sempre ritenuto, perché i liberali non sono degli anarchici, che la società organizzata in Stato possa imporre delle regole ai cittadini, ma che queste regole debbano sempre e solo essere quelle che più tutelano anche la libertà personale e che lo stato democratico non debba mai sentirsi come una superiore entità rappresentativa della totalità dei cittadini e della loro volontà, uno stato etico insomma, ma solo come un semplice governo della cosa pubblica, una necessità inevitabile, ma anche potenzialmente pericolosa (si pensi solo alle guerre, all’oppressione fiscale o alla pretesa di cambiare autoritariamente la società sottostante). Uno stato democratico può certo trovarsi nella condizione di dover affrontare e gestire con mezzi straordinari una fase di emergenza, ma deve farlo secondo legge e solo per tempi molto limitati, perché altrimenti la legge d’emergenza viene ad assumere caratteristiche permanenti che mutano l’essenza dello Stato e lo trasformano in totalitario. E questo accade anche quando l’emergenza è una pandemia che divenga endemia.

Ho sempre ritenuto che salute, conoscenza, senso civico e libertà debbano procedere sempre assieme, come valori tutti da salvaguardare, perché poi rendono la vita non solo tutelata, ma degna d’essere vissuta e che questo sia vero sempre, ma soprattutto ovviamente nelle scelte politiche. Anche per il Covid-19. Allo stato delle attuali conoscenze, fissati i criteri che, a mio giudizio, dovrebbero orientare le scelte di governo nel futuro prossimo, credo che, al di là di tutti i possibili sviluppi (dalla medicina, alle varianti, all’economia), oggi vi siano due scenari principali possibili, o raggiungeremo una sufficiente e significativa immunità di comunità per spontanea adesione, fino a superare l’alta soglia necessaria per riportare il Covid nel novero delle malattie contagiose con cui abbiamo imparato a convivere, o dovremo arrivarci per forza di legge. Mentre sul piano mondiale dovremo isolare i Paesi che non vogliono i vaccini e aiutare quelli che non possono comprarli. Ma in tutti i casi la libertà va comunque il più possibile salvaguardata dal legislatore e l’emergenza deve finire assieme a tutti i provvedimenti emergenziali. Voglio dire che non sono più prolungabili il coprifuoco, le schedature, il divieto di circolare, di incontrarsi, di lavorare, di vivere liberi, perché il Covid non scomparirà dopodomani nel nulla, perché quei mezzi non sono risultati realmente efficienti, perché le perdite di vite indotte dai provvedimenti emergenziali non le abbiamo mai calcolate, perché le libertà costituzionali fanno parte del vivere anch’esse, perché il rischio zero non esiste in natura. Chi vorrà mantenere mascherina, distanziamento, rarefazione delle uscite, lo farà per sua scelta e magari farà anche bene, perché oltre ad una molto relativa protezione lo farà sentire più sicuro, ma su base volontaria.

Del pari è però potenzialmente pericoloso adoperare il Green pass per introdurre divieti a lungo termine per tutte le normali attività, perché costituisce un precedente che un domani potrebbe essere riscoperto, con altre e molto meno giustificate motivazioni, dagli autocrati di turno. Tutto questo tuttavia ha un costo, un necessario costo. Se non raggiungiamo la soglia che i dati ci indicheranno come necessaria, i vaccini anti-Covid (e le loro eventuali evoluzioni future) andranno resi obbligatori, come del resto è stato in passato ed è anche oggi per tanti altri. Togliamo ovviamente coloro che possano dimostrare di essere allergici ai vaccini o con particolari patologie, aspettiamo doverosamente una particolare casistica per decidere per i minori di dodici anni, ma gli altri, visto che comunque, pur senza un’ancora completa determinazione quantitativa, sembra ormai confermato saranno non solo ben protetti degli esiti gravi della malattia, ma anche molto meno in grado di contagiare, vanno vaccinati, perché non è solo la nostra personale salute in gioco, ma anche quella di tutti. D’altro canto la Libertà ha un prezzo, l’ha sempre avuto e oggi è anche un vaccino.

Le tifoserie che vorrebbero mantenere oltre all’obbligo vaccinale, anche tutto chiuso, o vorrebbero tutto riaperto senza vaccini, posso sbagliare, ma mi sembrano, appunto, tifoserie. Vaccino generalizzato e fine dell’emergenza vanno assieme. Visione semplicistica? No, non credo, lineare semmai e, comunque, ricordiamo che spesso, molto spesso “Simplex sigillum veri” (“Il semplice è il sigillo del vero”, così ammonivano i Latini e l'antica massima vale anche oggi, ...).

 

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