30 agosto 2022

Enrico Letta, ecco tutti gli affari in Cina del lobbista che guida il Pd: svelato il suo vero gioco.

Fonte:liberoquotidiano.it

Lobbista stai sereno. Sul Domani di ieri è comparsa, a firma Giovanna Faggionato, un'inchiesta sugli affari internazionali di Enrico Letta che, se in Italia esistesse stampa libera, che è cosa diversa dalla libertà di stampa, sarebbe destinata a monopolizzare l'agenda di quotidiani e televisioni anche dopodomani, tra una settimana, dieci giorni e via fino ai prossimi due o tre mesi. Il quotidiano diretto da Stefano Feltri ed editato da Carlo De Benedetti ricostruisce la tela di relazioni e incarichi, è il caso di supporre lautamente retribuiti, che l'attuale leader del Pd ha ottenuto quando lavorava da emigrato di lusso in Francia e ha in parte mantenuto una volta rientrato a Roma per guidare la zattera democratica. Tutta roba legale si intende, almeno così pare, ma anche senza dubbio degna di rilievo giornalistico, almeno da parte di chi ha dedicato decine di ore di inchieste televisive e fiumi di inchiostro alla ricerca dei rubli di Salvini o dei rimborsi elettorali spesi dalla Lega in campagna elettorale. Invece qualcosa ci dice che le robuste attività di lobby di Letta non avranno neanche un decimo del rilievo mediatico ottenuto dalle velleità russe del compagno leghista Savoini.

Eppure quanto squadernato dal Domani è parecchio interessante. Si scopre che l'attività accademica all'Istituto di Scienze Politiche della Sorbona per il capo del Pd era non certo una copertura, sicuramente più di un diversivo, ma soprattutto una chiave d'accesso per attività e relazioni affaristiche di prim' ordine. Tra le più interessanti, quella della fondazione di Equanim, che si autodefinisce "la prima piattaforma di mediazione internazionale", con lo scopo sociale di reclutare personalità politiche e affaristiche di primissimo livello al fine di svolgere un ruolo di mediatore per conflitti internazionali complessi. Si parla di società in grado di garantire compensi da 10 milioni di euro, tanti ne ha fatturati il manager francese Gerard Mestrellet, in rapporti strettissimi con la monarchia saudita, al punto da sedere in commissioni governative del regime, per aver favorito la fusione tra i giganti dell'energia Veolia e Suez. L'amico dell'Arabia Saudita Mestrellet è, con Letta, tra i soci di Equanim, e forse a questo, e non già a magnanimità di cuore, è dovuto il fatto che l'attuale leader del Pd non abbia contribuito al linciaggio mediatico di Matteo Renzi, quando la stampa lo ha massacrato per aver intervistato a pagamento il principe ereditario saudita Mohammed bin Salman.

BOMBA ATOMICA - Ma l'esperienza transalpina ha consentito a Letta di mettere un piede anche dentro Credit Agricole, attraverso l'ingresso nel board di Amundi, società di consulenza controllata dalla banca. Sono incarichi ben remunerati e che portano altre relazioni, e inevitabilmente altri quattrini. Tant' è che, grazie ad Amundi, Letta ha ottenuto un lavoro dal gruppo pubblicitario Pubilcis, che gli ha versato centomila euro per otto sedute nel consiglio di sorveglianza del gruppo. Sono tutti ruoli da fare invidia ai poveri mortali, ma che si possono mollare nell'attimo esatto in cui si decide di tornare alla politica attiva, per non correre il rischio di essere accusati di conflitto d'interessi. O meglio, il rischio resta, ed è reale, e se Letta non fosse del Pd ma di Forza Italia o della Lega già si sarebbe concretizzato da tempo, però si tratterebbe di accuse da cui ci si può difendere, o comunque che si può tentare di dribblare. 

La bomba atomica, l'incarico che ti segna a vita anche se lo molli è quello che Letta ha ottenuto da Tojoy, società che aiuta le attività imprenditoriali cinesi che nascono e quelle europee che vogliono entrare nel mercato del Dragone. Poiché la Cina è un regime, avere relazioni economiche con società di questo tipo significa venire a patti con il demonio. Pechino infatti quando paga non si dimentica di chiedere qualcosa in cambio, ed è per questo che, guardando all'estero, è più interessata a pescare chi è in grado di influenzare le politiche degli Stati piuttosto che a selezionare manager. In quest' ottica, la dittatura ha assegnato a Letta e all'ex premier austriaco Faymann il ruolo di copresidenti per il mercato dell'Europa Occidentale.

COINCIDENZE - E qui c'è un'altra straordinaria coincidenza tra gli incarichi di Letta e il suo comportamento politico su casi specifici non coerente con la sua narrazione generale. Il segretario del Pd infatti, atlantista e tifoso di Biden fino all'estasi, ha sempre lasciato cadere gli attacchi del presidente Usa al regime cinese, quasi si trattassero di banalità e non dello scontro che condizionerà il Paese per i prossimi decenni, come un professore di Scienze Politiche dovrebbe sapere. Ma d'altronde, l'afflato verso Pechino dalle parti del Pd è regola di casa, come insegnano i padri nobili Prodi e D'Alema. E forse è anche per questo che l'attuale segretario è il solo della maggioranza di governo che non vorrebbe eleggere al Quirinale Draghi, atlantista e scettico nei confronti del regime. Tocca quindi fare i complimenti al Domani, che ha svelato il vero gioco di Letta, il quale in televisione parla di diritti umani, donne e gay ma nel privato non disdegna di mettere la propria abilità a disposizione di Xi Jinping. E forse anche grazie allo scoop dei colleghi riusciamo a spiegarci il perché Enrico si ostini pervicacemente a cercare l'intesa con i Cinquestelle, che con i Dem hanno in comune  solo la sudditanza, non psicologica, nei confronti del regime di Pechino. 

 

27 agosto 2022

Il mare parla, chi ascolta?

Mi irrita il fatto che quest'anno sono molto meno fredde le acque del mare delle altre estati.  Si dice che la colpa è del cambiamento climatico e dell'inquinamento, che tutto questo sia quello che si chiamava cambiamento climatico e poi riscaldamento globale e ora emergenza climatica.  Eravamo sulla strada per un'energia universale rinnovabile, pulita, felice e inesauribile, e si scopre che abbiamo sbattuto il naso con la porta della scarsità.  Non si vuole vedere cosa ha rivelato la guerra in Ucraina,e cioè, che in Russia si è coagulato dentro un regime tirannico, imperialista, che aspira a controllare il suo popolo e la rivoluzione dell'equilibrio mondiale è di potere a proprio vantaggio. E ora c'è l'Unione Europea che trema per il timore che il rigido inverno senza gas di Putin possa portare a una recessione. I politici stanno dimostrando di non avere  la formazione di una massaia o di aver gestito un'azienda, in quanto privi di qualsiasi tratto, anche minimo, di grandi orizzonti o prospettive storiche o di paese oltre a vincere le prossime elezioni. E tutto questo mi sembra molto pericoloso in questo periodo. Perché nessuno mi toglie dalla testa che qua e là le élite politiche continuano ad amministrare il presente come se il futuro non esistesse, come se il passato non avesse lasciato alcun insegnamento, come se contasse solo di uscire dai guai. L'acqua dei mari si scalda, i ghiacciai si sciolgono, il mare, che è il sangue vitale della terra, sta emettendo segnali di allarme mortali. Il pianeta sta morendo per inerzia, apatia e stoltezza e in mancanza di qualcosa di meglio, ci viene chiesto di fare la doccia invece di fare il bagno, con acqua fredda meglio, di ventilare solo dieci minuti in modo che la casa non si raffreddi e poi abbiamo per scaldarlo, che mettiamo lampadine a led o che il sole non colpisca il frigorifero.  E sì, tutto ciò che propongono è molto buono e un giorno lo avranno se non siamo buoni cittadini, ma sarebbe anche interessante avvertire la popolazione della reale situazione in cui ci troviamo e ancor più interessante forzare l'adozione di misure in conferenze o organismi internazionali pertinenti per porre rimedio, per quanto possibile, al disastro che è già qui.  Non è possibile continuare a negare una realtà che oggi sembra essere solo nascosta a chi deve prendere decisioni.  Non è possibile gestire il futuro di un mondo globale arrancando per non perdere voti alle prossime elezioni.  Ebbene, è necessario cambiare mentalità e politici, dirigenti e obiettivi, perché gestire ciò che sta arrivando, ciò che è già qui, con il solito strumento per tirarsi fuori dai guai, sarà un suicidio. E non dovremo aspettare molte generazioni per verificarlo. Ce lo dice già l'acqua calda dei mari e i ghiacciai che si stanno sciogliendo.


25 agosto 2022

Strana la vita energetica della Sardegna.

Che da unica regione italiana priva di gas diventerà la capitale dell'energia in virtù del Dpcm firmato dal premier Mario Draghi alla fine dello scorso marzo. Un provvedimento cruciale nell'ottica di un eventuale stop delle forniture di oro azzurro provenienti dalla Russia.

In Sardegna, da anni, si dibatteva sul progetto di un gasdotto in grado di trasportare l'oro azzurro dove ancora non c'era. La realizzazione della rete di 600 chilometri di tubature era già nel programma elettorale dell'ex presidente della Regione, Francesco Pigliaru, in carica dal 2014 al 2019 col Pd.Nel primo governo di Giuseppe Conte, quello composto da Lega e M5s, il metanodotto sardo era diventato una sorta di Tav del gas. Il partito di Matteo Salvini era favorevole alla sua realizzazione, mentre i pentastellati, come per l'alta velocità Torino-Lione, avevano subordinato la costruzione dell'impianto all'analisi tra costi e benefici, mantra dell'allora ministro delle Infrastrutture, Danilo Toninelli.

Conte, dopo l'avvicendamento tra il Carroccio e il Pd nell'esecutivo, aveva proposto la realizzazione di un elettrodotto per trasportare il gas dalla Sicilia alla Sardegna per investire sulle energie rinnovabili. Ipotesi scartata dal governatore sardo, Christian Solinas, che dalla sponda leghista aveva rivendicato il sovranismo energetico del suo territorio.

Poi è scoppiata la guerra in Ucraina. E la Sardegna, con Draghi a Palazzo Chigi, è destinata a diventare improvvisamente l'hub principale per lo scostamento dell'Italia dal gas russo. In particolare, sul piano del sistema dell'elettricità, il Dpcm prevede l'estensione della rete di trasmissione elettrica nazionale attraverso la realizzazione del cavo Sardegna-Sicilia, che fa parte del Tyrrhenian Link, con una potenza programmata di 550 megawatt.

Per quanto riguarda la fornitura di gas metano, la rete nazionale, come ha riportato l'Ansa, sarà estesa alla Sardegna anche a fini tariffari attraverso un collegamento virtuale che comprende un insieme di infrastrutture: una nave Fsru fissa nel porto di Portovesme con capacità di stoccaggio adeguata a servire il Sud industriale e il bacino della Città metropolitana di Cagliari, un'altra a Porto Torres con capacità adatta a servire il Nord e il bacino della Città metropolitana di Sassari e un impianto di rigassificazione nell'area portuale di Oristano che servirà le zone limitrofe.

Il gas arriverà in Sardegna grazie a navi spola che partiranno dai terminali di Panigaglia e Olt e serviranno Portovesme, Porto Torres e Oristano. Il Dcpm fa riferimento anche alle energie rinnovabili, ma parla genericamente di «realizzazione di generazione a fonte rinnovabile e di adeguate risorse di accumulo dell'energia», senza definire la potenza. Solinas, però, non ha cambiato idea. Il governatore della Sardegna, dopo aver chiesto invano di rinviare la firma del decreto, ha espresso «preoccupazione e disappunto», sottolineando che si tratta di «un atto imposto dall'alto» e che «la Sardegna non può accettare che scelte determinanti per i prossimi decenni siano unilaterali». Fatto sta che la vita dell'isola, dal punto di vista energetico, non sarà più la stessa.

24 agosto 2022

Penso alla Sardegna.

Oggi mi sono ricordato di quando ho viaggiato per l’Europa, da quando ho incominciato a lavorare e fino a poco tempo fa, quando sono tornato, scendendo in macchina da Vienna, ho provato una grande gioia di tornare a casa. Penso ancora che in Sardegna ci siano i paesaggi più belli, quello che mi raccontano di più. Più che le acque azzurre dei Caraibi o i prati verdi dell’Austria e cose del genere su una cartolina. Senza dubbio perché in qualche modo appartengo a questi paesaggi, e allo stesso tempo mi appartengono , in quel modo peculiare in cui ci appartiene ciò che è comune, ciò che facciamo e condividiamo tra molti.

Estendere un po' per me l'essere patriota – parola difficile di questi tempi – è amare se stessi, quando quello stesso siamo noi stessi: chi ti circonda, dove vivi. Bene, capisco che le nostre società non sono cose esterne a noi, ma piuttosto ciò che facciamo/siamo noi stessi, tra tutti noi, in base a ciò che i nostri padri e madri hanno fatto prima e prima dei nostri nonni e nonne.

Mi sono anche ricordato di Kennedy, quando diceva ai suoi concittadini: "Non si tratta di ciò che l'America può fare per te, ma di ciò che puoi fare per l'America". E un altro detto con molte versioni che suona più o meno così: "Non si tratta di ciò che la Sardegna può fare per te, ma di ciò che puoi fare per la Sardegna". Ed è per questo che, in particolare, mi sento responsabile e cerco di sentirmi orgoglioso del luogo in cui vivo, perché è il mondo alla cui costruzione partecipo. Anche se certamente, molte volte, troppe, ci sentiamo esclusi da questo potere di partecipare alla realizzazione del mondo in cui viviamo.  Capisco che possiamo avere risentimenti verso parte della nostra storia. Ma quando si studia un po' di storia e si conoscono altri paesi al di là del turismo superficiale, si vede che tutti gli stati - specialmente quelli più sviluppati e più o meno potenti - hanno anche essi i loro passati. Ma odiare o disprezzare la propria terra per me, allora, è come non amare se stessi; o per non riconoscere che siamo noi stessi a farlo ogni giorno, o perché rinunciamo a farlo: il nostro Paese, in fondo, inizia dalla nostra stessa casa, famiglia, quartiere, lavoro, amici e ambienti attraverso i quali ci muoviamo... E la cosa facile è incolpare gli altri e non vedere nessuna responsabilità in noi stessi...

Ma, beh, un po' di indulgenza con se stessi e gli amici: questo arrendersi impotente fa indubbiamente parte delle strategie di potere contemporanee: mega-organizzazioni e burocrazie, partiti politici, tecnologie, i cosiddetti mercati... Anche se ovviamente il proprio paese, la propria terra, anche se oggi potrebbe sembrare così, non è, o non dovrebbe essere almeno, come un centro commerciale o un ristorante di cui sono cliente-utente, che giudico da una posizione del tutto esterna, e se non mi piace, non ci andrò più... Non tutti vogliono o possono migrare. E alla fine, dove andare? In Inghilterra, in Francia, in Germania, in Austria? brrr. Ma questo è ciò in cui ci stanno trasformando, una popolazione-soggetto-utente, e dovremmo resistere. Io, ovviamente, resisto. Non mi arrendo, – anche se spesso lo penso.

Questo ritrovare la bellezza e l'emozione in ciò che è vicino – il paesaggio, la terra, le persone, l'arte, le forme di vita – è il modo di amare la vita, il mondo in cui viviamo e di amare noi stessi. Per me, paradossalmente, questo sarebbe anche il modo di essere universalista, anche internazionalista . Qualcosa come lo slogan forse stanco di pensare globale e agire localmente. 

Un'altra cosa diversa dalle patrie del cuore, sono le cose dei politici, degli stati e delle ideologie più o meno nazionaliste e delle strategie di potere tra gruppi più o meno di interesse. Alla fine, non credo che farà una grande differenza per i comuni sardi se la Sardegna diventa indipendente o meno. Anche se preferirei che accadesse. E quello che preferirei sarebbe un Paese in cui tutti potessimo sentirci più responsabili di poterlo costruire insieme. E, infine, anche se ho poca simpatia per il movimento indipendentista sardo, anche se capisco che senza dubbio hanno le loro ragioni. Ma non ci sono solo due ragioni ; è che ce ne sono molte.   

Chi sta governando oggi Cagliari la “odia”.

Cagliari va amata.

Mi pongo una domanda e la pongo a tutti: 

ma chi sta pensando alla Città? Chi sta pensando all'interesse dei cittadini, ai servizi, al bene comune?

Quest'amministrazione, falcidiata dalle faide interne alla maggioranza. Una Città usata, purtroppo oggetto di baratti e aggiustamenti politici e di poltrone.

Auspico che questa riflessione che pongo serva a sollevare un urgente e serio dibattito, politico sociale ed amministrativo, sullo stato dell’arte di una Città piena di risorse, ma ineluttabilmente abbandonata a se stessa e “sospesa”. Dobbiamo pensare al futuro di Cagliari, addormentata in un presente governato da persone a cui evidentemente la Città sta antipatica e che vogliono continuare a vederla immersa e vittima di una recessione politica e amministrativa senza precedenti.

Nel frattempo la Città muore, sotto gli occhi attoniti dei cagliaritani, che sono stanchi e non si fanno più ingannare dalle parole di un Sindaco incompetente. Ben altro avrebbe meritato Cagliari, che una Giunta incapace di difendere l'immagine e la storia della nostra città.

L'estate cagliaritana avrebbe potuto essere vivace culturalmente, volano per rilanciare il tessuto economico e produttivo locale e invece niente.

Il vuoto assoluto, politico e amministrativo. È l'amministrazione dei disagi, dell'indifferenza, incapace di difendere anche le famiglie, le imprese, i cittadini, dilaniata dalle divisioni interne. Un'amministrazione ormai completamente disinteressata alle sorti della Città e i risultati sono sotto gli occhi di tutti.

Occorre che tutte le forze positive della Città, partitiche, politiche, sociali, economiche, imprenditoriali, si mettano assieme per ribaltare il tavolo, ponendo fine ad una stagione di vuoto politico ed amministrativo e mettendo di nuovo al centro la Città ed i cittadini, con programmi di sviluppo seri e sostenibili. È tempo che questa Città torni ad essere amata, perché oggi è evidentemente odiata da chi la governa.

19 agosto 2022

L'interesse della Sardegna per la zona franca integrale sta continuamente aumentando.

La zona franca integrale in Sardegna, può esercitare una forte attrattività di investimenti in infrastrutture e servizi logistici, stimolando, a determinate condizioni, la crescita del nostro territorio in termini di valore aggiunto, occupazione, esportazioni e trasferimento tecnologico.

Nel caso in cui in Sardegna venga  concessa la Zona Franca Integrale, questa sarà caratterizzata da altri tipi di agevolazioni fiscali (imposte dirette, tributi locali), vantaggi finanziari ed amministrativi per le imprese, le quali potranno godere altresì di numerosi incentivi aventi natura economica e sociale.

I vantaggi per lo sviluppo economico (insediamento di imprese e creazione di manodopera specializzata) sono individuabili nelle agevolazioni in materia di oneri sociali per i lavoratori dipendenti, nell’esenzione da imposta su acquisto dei suoli industriali e nell’esenzione totale o parziale dalle imposte sui redditi. Sono infine previste facilitazioni di carattere amministrativo, come lo snellimento delle procedure di autorizzazione.

I benefici di crescita economica, invece, può essere identificata nell’attrazione di investimenti industriali, in particolare dall’estero, nel trasferimento di innovazione tecnologica e know-how, nell’aggiornamento e specializzazione della forza lavoro e nell’insediamento di nuove imprese manifatturiere per la trasformazione dei prodotti destinati ad essere riesportati.

La zona franca “aiuta” e “catalizza” lo sviluppo economico; infatti, se la zona franca è caratterizzata dalla presenza di almeno un paio degli elementi sopra elencati, combinandoli adeguatamente ad altri input, principalmente di natura strategica, finanziaria, infrastrutturale ed organizzativa, sicuramente si creerà, nel corso del tempo, valore aggiunto per l’economia della Sardegna.

Inoltre, affinché la zona franca possa essere, o possa divenire con il trascorrere degli anni, catalizzatore di sviluppo, sono necessari, oltre agli elementi già esposti, una buona qualità delle infrastrutture, un ottimo livello di coordinamento tra politiche locali, regionale e nazionale,  adeguate strategie di marketing da parte degli attori economici fondamentali e cooperazione mirata tra le numerose imprese.

La zona franca comporta una serie di vantaggi, soprattutto di natura fiscale e contributiva e questo può rappresentare un’importante leva di sviluppo per l’insediamento di nuove imprese, ma anche per il rafforzamento di quelle già esistenti. Quindi, la zona franca può rappresentare una vera e propria occasione di crescita per la Sardegna e per i sardi, ed allo stesso tempo può permettere la realizzazione di processi più robusti e duraturi, capaci di creare occupazione. Pertanto mi pare che la messa in opera del dispositivo della zona franca integrale vada seguita con estrema attenzione. Non solo perché rappresenta un punto di svolta nella formulazione delle politiche di sviluppo urbano della nostra Regione, ma anche perché compie un ulteriore interessante avanzamento sia nella definizione delle politiche pubbliche sia nelle forme di accompagnamento e di supporto tecnico alle amministrazioni comunali. Quindi, è importante discutere sulle implicazioni che l’introduzione di tale strumento comporta rispetto alla questione della corrispondenza tra obiettivi di politiche di sviluppo urbano e politiche per l’intervento nelle aree urbane degradate; allo stesso tempo però, è fondamentale comprendere appieno le relazioni che intercorrono tra la programmazione dello sviluppo urbano e la gestione del disagio socio-economico.

18 agosto 2022

Puntare sui giovani...

Non ho mai seguito nessuno, da ragazzino provavo rispetto e affetto per i genitori, ma ero bussola di me stesso e anzi spesso anche di loro. Ho sempre governato la mia vita e spesso anche quella di chi mi stava vicino con i ragionamenti e la mia energia. Una mia caratteristica è quindi l’autonomia mentale. La solitudine non mi spaventa, a volte anzi la considero la soluzione migliore. Con le esperienze acquisite in contesti locali, sono diventato sempre più selettivo nelle frequentazioni e insofferente per le stupidaggini che le persone dicono. Stupidaggini figlie di debolezze mentali, delle influenze assorbite da un contesto culturale mediocre, della pigrizia intellettuale. Altra costante che noto nei mediocri è l’ingratitudine, il deformare o rimuovere la realtà per non sentirsi in debito, per edulcorare la consapevolezza di sé stessi perché guardarsi a nudo davanti alle proprie miserie può esser sconfortante.
Perché queste elucubrazioni da maverick? Perché dopo aver fatto tante esperienze in giro per l’Europa, alla fine il modo più efficace di contribuire ad un mondo migliore è investire sulla formazione dei giovani. Ovunque: scuola, doposcuola, volontariato, sport, prime esperienze lavorative,… Vanno puntate tutte le fiches nel creare una nuova generazione di essere pensanti, capaci di giudizio critico, difficilmente manipolabili, che si chiedono il perché di ogni cosa e il perché del perché, che accettano l’idea che ad ogni diritto corrisponde un dovere e che il packaging va preso tutto per intero, che coltivano l’umiltà dell’intelligenza comprendendo che solo leggendo e studiando si posso formare opinioni ponderate senza riempire di stupidaggini le orecchie di chi sta ad ascoltare, che hanno rispetto per le istituzioni ma senza servilismo, che vanno a votare perché la democrazia funziona solo se i votanti non sono analfabeti funzionali mentre l’alternativa sarebbe la dittatura, che coltivano il nobile sentimento della gratitudine perché rende le persone migliori.
Senza dubbio investire sulla formazione dei giovani è la più efficace e nobile delle missioni.

13 agosto 2022

Il reddito pro capite in Sardegna è stato sempre molto più basso di quello settentrionale.

In Sardegna la crisi c’è sempre stata. Il reddito pro capite è stato sempre molto più basso di quello settentrionale, ogni apparato pubblico (dall’ospedale all’ente locale al tribunale) ha sempre funzionato male e la disoccupazione è stata sempre sopra il livello di guardia. Quindi i sardi sono abituati a vivere nella povertà dei mezzi e nella mediocrità dei servizi. Tanto è per loro normale questa situazione che neanche si accorgono del degrado in cui vivono. Però questa ulteriore crisi che in Sardegna esplode nel 2009, dentro la crisi perenne isolana, ha prodotto una novità, un nuovo frutto avvelenato: adesso si vive ancor di più alla giornata, non si ha la minima fiducia nel futuro, non si vede una luce in fondo al tunnel e si è smorzata ogni capacità di reazione. Ogni nuovo scandalo, ogni ingiustizia, ogni umiliazione viene ormai accettata passivamente. E di questa rinuncia a volersi bene (perché mettere la testa sotto la sabbia non ha mai risolto nessun problema) si sono approfittati tutti, sapendo di non pagare dazio. Lo scempio dei politici alla Regione Sarda che pensano solo a litigare e ad accendere nuovi mutui sulle spalle dei siciliani. L’egoismo dei politici nazionali che spendono enormi risorse pubbliche al Centro Nord e sono ancor più del solito col braccino corto al Sud (siamo ancora, dopo tutti questi anni dall’Unificazione, considerati un peso, una colonia imbarazzante con cui dover fare i conti). La cosa per me più imbarazzante è l’incapacità a reagire della mia gente, troppo lontana dal mio carattere.

11 agosto 2022

Se l’Italia non riesce a trattare la Sardegna con equità perché non pensare a una Sardilexit come fatto da Malta col Regno Unito?

La Storia è piena di crudeltà e chi perde le guerre ne subisce le atrocità. Dopo tanti decenni dall’unificazione parlarne ancora potrebbe suonare sterile, meglio parlare d’attualità. È lo Stato italiano in grado di garantire alla Sardegna gli stessi livelli qualitativi di sanità, scuola e infrastrutture rispetto alla parte del Paese che conta? Ha un piano che possa far recuperare all’Isola gli enormi ritardi di sviluppo accumulati? Se il Paese che conta ha deciso da molto tempo di abbandonare la Sardegna al suo destino di marginalità, allora non sarebbe buon senso cominciare a ragionare tutti insieme su un’exit concordata dell’Isola dallo Stivale, com’è successo da altre parti (Finlandia dalla Svezia, Slovacchia dalla Repubblica Ceca, Malta dal Regno Unito,…)? 

In una Sardilexit concordata l’Isola rimarrebbe uno Stato satellite dell’Italia dentro l’Unione Europea e l’euro, con la stessa lingua e cultura. I sardi che volessero rimanere italiani lo rimarrebbero, mentre la maggioranza dei sardi passerebbe ad avere un passaporto sardo. In un contesto come l’attuale la Sardegna partirebbe con le poche infrastrutture presenti, un sistema bancario debole e un apparato pubblico scadente. Ci sarebbe una lunga fase di transizione, negli accordi tra Repubblica Italiana e Repubblica Sarda ad esempio per gli attuali pensionati sardi si potrebbe concordare di lasciare all’INPS il compito di erogare le loro pensioni. 

Gli inizi sarebbero in salita, ma se in pochi decenni ce l’ha fatta Malta (che si è liberata dell’abbraccio inglese che l’aveva resa poverissima), avendo le mani libere ce la farà anche la Sardegna. La parte dell’Italia che conta si toglierebbe il peso (dal suo punto di vista) di dover mantenere i sardi (come dicono) e la Sardegna avrebbe finalmente la sua chance di ricominciare a sperare in un futuro migliore, dopo decenni di decadenza e di futuro senza prospettive.

Se un giorno la parte dell’Italia che conta condividesse davvero la Sardilexit, perché non pensarci ed approfondire ogni suo aspetto? In tutto il mondo per la sua storia millenaria la Sardegna è considerata una cosa a sé e i 150 anni di annessione all’Italia tanti li considerano solo un breve incidente della storia.

06 agosto 2022

È possibile una politica onesta?

Oggi ho letto un post pubblicato da Alessandro Di Battista sull’onestà in politica: 
” Un tempo credevo che l’onestà fosse la caratteristica più importante per un politico. 
Oggi non lo penso più. L’onestà dovrebbe essere un prerequisito per fare attività politica ma oggi più che mai penso che chi decide di voler rappresentare il Popolo italiano in primis dovrebbe avere coraggio”.

Anch'io credevo un tempo che l’onestà di un politico è molto importante, ma mi son dovuto ricredere.
Jean-Jacques Rousseau scrisse:
"Coloro che vogliono trattare politica e morale separatamente non capiranno mai niente dell'una e dell'altra", e sono d'accordo. La pratica della politica non solo può, ma deve conciliarsi con gli imperativi dell'onestà. 

Ma cos'è l'onestà o la disonestà in un politico? È possibile che un politico sia onesto?

La domanda va al cuore della democrazia. Quando gli elettori liquidano i politici come disonesti, fioriscono i movimenti antidemocratici. Tuttavia, tutti i politici sanno che l'ambiguità e il compromesso tendono a prevalere sulle verità universali. A volte è necessario scegliere il male minore. I nostri normali standard di decenza e probità non sempre si applicano, anche se non perché il cinismo e l'ipocrisia sono le uniche cose che contano in politica.

Succede che la disonestà politica assume forme diverse. Identifichiamo le varie tipologie. Un tipo è quello di qualcuno che è disonesto tanto per cominciare. Una tale persona sarà un leader, un ideologo o un diplomatico disonesto in ogni circostanza.
Un altro tipo è il dilettante con buone intenzioni. Goffo e amatoriale, le sue azioni danneggiano gli interessi che cerca di promuovere.
I "giocatori d'azzardo" politici, d'altra parte, abusano della concorrenza. Sono intelligenti ma spietati, mancano di umiltà ed evitano la riflessione. Il "guastafeste" politico è un parente stretto del giocatore d'azzardo, che cerca di realizzare le sue crescenti ambizioni con ogni mezzo, indipendentemente dai rischi e nonostante il costo per gli altri.
Disonesto è anche il "fanatico" politico, accecato dalla convinzione di avere ragione su tutto. Il fanatico è inflessibile e non si ferma, è un rullo compressore che schiaccia tutto sul suo cammino. Al contrario, l'"operatore" che fa gli affari politici non è meno disonesto, perché gli manca quella che il primo presidente Bush chiamava "la cosa della visione". È codardo, privo di principi e si tira indietro dalle responsabilità.

Oltre a questi tipi distintivi di politici disonesti ci sono posizioni politiche più generali. In primo luogo, ci sono le forme ciniche del pragmatismo, incarnate nel principio che il fine giustifica i mezzi ogniqualvolta le esigenze morali sono in conflitto con gli interessi politici.
All'altro estremo c'è la posizione ingenua, utopica e ipocrita che è altrettanto disonesta. Coloro che la predicano deplorano la durezza e la relatività della politica e fanno inutili appelli al rinascimento morale. Tuttavia, le cose non sono così semplici. La storia non è un idillio e le biografie dei politici non assomigliano alle vite dei santi. 

Paradossalmente, se tutti fossero onesti, la politica sarebbe superflua.
Insomma, un politico onesto applica un pragmatismo basato sui principi, sul coraggio di dire cose spiacevoli, ma sempre con un atteggiamento costruttivo. In effetti, la critica irresponsabile (il desiderio di rivelare e pubblicare un problema senza la volontà di proporre soluzioni fattibili) è forse la forma più comune di disonestà in politica.

Pertanto, il governo è spesso il miglior test di onestà politica. Nei paesi democratici, se i politici che criticano gli altri mentre sono all'opposizione si rivelano inefficaci quando salgono al potere, gli elettori possono (e di solito lo fanno) punire la loro disonestà alle urne.
La prova più difficile per un politico onesto arriva quando deve difendere idee che non sono popolari ma che sono corrette. Non tutti superano quel test, soprattutto quando si avvicinano le elezioni. Tuttavia, solo i politici disonesti identificano esclusivamente la politica con la popolarità.

Allo stesso tempo, un politico morale non riesce mai a garantire da solo il bene comune. Solo quando i politici sostengono la decenza degli altri possono essere sicuri che nei momenti critici per lo stato saranno in grado di superare le loro differenze politiche.

Tuttavia, l'onestà politica non è di esclusiva responsabilità dei politici. Anche l'opinione pubblica deve fare bene la sua parte. Dopotutto, è più probabile che l'onestà politica (e i politici onesti) mettano radici in una società caratterizzata da una cultura di tolleranza, solidarietà e pari diritti individuali. I politici imbroglioni non se la cavano bene su quel terreno.

Quanto durerà ancora la guerra in Ucraina?

La NATO cerca di compensare la vasta superiorità militare della Russia dotando l'Ucraina di sistemi di artiglieria che forniscono tre vantaggi: maggiore portata, maggiore precisione e maggiore mobilità rispetto a gran parte dell'artiglieria russa. A loro volta, queste armi non vengono utilizzate per rispondere al fuoco dell'artiglieria russa, ma per attaccare i loro depositi di munizioni e i loro centri di comando e controllo.

Mentre è chiaro che i nuovi armamenti stanno facendo la differenza per l'Ucraina, viene da chiedersi se sarà sufficiente per invertire le sorti della guerra. In questa materia, sembra esserci un limite: anche i servizi di intelligence dei paesi membri della Nato ritengono improbabile che l'Ucraina possa recuperare tutto il territorio perso dall'inizio dell'invasione russa il 24 febbraio scorso. Oltre tale limite, ci sono due considerazioni da tenere in considerazione per rispondere alla domanda. Il primo è che le spedizioni di armi in Ucraina raggiungeranno il picco il prossimo ottobre. La seconda è che il primo grande contrattacco ucraino sarebbe intorno a Kherson (perché, ad esempio, è la città controllata dalla Russia più vicina ai confini attraverso i quali l'Ucraina riceve le armi della NATO). 

Così, quando ciò accadrà, le aspettative su cosa accadrebbe se la guerra dovesse continuare probabilmente convergeranno abbastanza da consentire di cercare una soluzione negoziata. Cioè, quando le parti crederanno lo stesso sul probabile esito della guerra se dovesse continuare, avranno incentivi per risparmiarsi il costo di continuare a combattere e raggiungere quel risultato al tavolo dei negoziati. Il fatto che il costo per continuare a combattere aumenterà in modo significativo nei prossimi mesi punta nella stessa direzione.

Da un lato, parte della guerra nel prossimo futuro ruoterà attorno al controllo delle città (come Kherson), e la guerra urbana favorisce il difensore rispetto all'attaccante (la letteratura militare stabilisce un rapporto di 6 a 1 a favore del attaccante come condizione per garantire la vittoria). E l'arrivo verso la fine dell'anno invernale renderà le cose ancora più difficili per l'attaccante. D'altra parte, il costo economico della guerra non farà che crescere nel tempo. Il calo del PIL russo nel 2022 oscillerebbe tra l'8,5% (secondo il FMI) e l'11,2% (secondo la Banca mondiale). Queste cifre sono state attenuate dall'aumento della spesa pubblica (utilizzando i fondi di emergenza che, a differenza delle riserve internazionali, sono in calo) e potrebbero peggiorare a causa della diminuzione delle sue importazioni a seguito delle sanzioni (la Russia, ad esempio, importa parte dei microprocessori utilizzati dalla sua industria militare). Da parte sua, il PIL ucraino quest'anno si contrarrà di oltre un terzo (secondo il FMI) e il deficit fiscale del suo governo centrale equivale a circa 5.000 milioni di dollari al mese (secondo la rivista L'economista ).

Finora, parte delle bollette dell'Ucraina sono state pagate dagli stati della NATO. Ma, a loro volta, questi stati devono affrontare l'inflazione più alta degli ultimi 40 anni, un'alta probabilità di recessione e la prospettiva di tagli alle forniture di gas russe nel cuore dell'inverno.  In tali circostanze, le maggiori potenze della NATO potrebbero preferire fare pressione sul governo ucraino affinché cerchi una soluzione negoziata piuttosto che continuare a sostenerlo indefinitamente nella guerra in corso.

 

02 agosto 2022

Paola PIRODDI Il reddito di cittadinanza è un grande, enorme fallimento.

Al Comune di Cagliari funziona come d'appertutto cioe non funziona.

Ora abbiamo anche l'ufficializzazione dell'Inps: il reddito di cittadinanza è un grande, enorme fallimento. Innanzitutto per lo Stato visto quanto costa: nei primi 3 anni dall'avvio del sussidio l'importo sborsato dalle casse statali è stato di ben 20 miliardi di euro. E se ha funzionato come misura contro la povertà, certo non si può dire sia stata una sorta di passaggio verso l'inserimento nel mondo del lavoro. Infatti da un paper pubblicato dall'Istituto Nazionale di Previdenza emerge che circa il 70% di coloro che hanno iniziato a percepire il beneficio tra l'aprile e il giugno del 2019 lo aveva ancora anche nell'ultimo semestre del 2021. Ovviamente, come sappiamo il dato risente dell'effetto dell'emergenza sanitaria legata alla pandemia e al conseguente aumento delle difficoltà nella ricerca del lavoro ma, nonostante ciò, i dati restano allarmanti visto che il Rdc non è riuscito a centrare uno dei 2 obiettivi per cui era nato.

Nel periodo considerato- ossia nei 33 mesi da quando la misura è partita nell'aprile 2019- sono stati oltre 2 milioni i nuclei familiari, pari a 4,65 milioni di persone coinvolte, che hanno ricevuto il pagamento di almeno una mensilità. «Tra le persone che hanno beneficiato della prestazione ci sono neonati e centenari, componenti di famiglie numerose e persone che vivono da sole, e c'è chi ne ha beneficiato per un solo mese e chi, invece, per oltre due anni» si legge nel documento pubblicato dall'Inps, «studenti, lavoratori, titolari di pensione, inattivi e fianche persone che nel frattempo sono decedute. Un insieme vasto, articolato, eterogeneo, accomunato dall'assenza o carenza di reddito familiare».

Analizzando nel dettaglio il paper si nota che meno di quattro su dieci (38,5%) sono percettori di breve o medio periodo (hanno percepito da 1 a 18 mensilità dall'avvio del sussidio), mentre più di 6 su dieci (61,5%) sono invece beneficiari di lungo periodo. In più concentrandosi sulle diverse tabelle inserite nel documento si nota che la persistenza, ossia la permanenza del beneficio, sembra essere per lo più legata alla nazionalità del richiedente, alla composizione del nucleo familiare, e all'area geografica di residenza. Tra chi ha iniziato a prendere il beneficio tra l'aprile e il giugno 2019 i persistenti sono prevalentemente italiani, single e abitano nel Sud o nelle Isole. A dicembre 2021 il 44,7% dei nuclei beneficiari erano monocomponenti e il 67,3% senza minori. I nuclei con disabili il 17%. Mentre l'importo medio è di 546 euro, molto differenziato tra Rdc (577 euro) e Pdc, Pensione di cittadinanza (281 euro).

Ma l'ennesima controprova che il Reddito di cittadinanza è sì valido per contrastare la povertà ma completamente inefficace nel combattere la disoccupazione arriva dall'analisi longitudinale dei beneficiari che evidenzia che su 100 soggetti che percepiscono il sussidio, quelli "teoricamente occupabili" sono poco meno di 60. Di questi ben 15 non sono mai stati occupati, 25 lo sono stati ma in passato, e meno di 20 hanno una posizione contributiva recente, in molti casi con Naspi e part-time. In buona sostanza i beneficiari del reddito sono in gran parte lontani dal mercato del lavoro. Ecco spiegata la loro permanenza tra i beneficiari.