14 ottobre 2021

Scioperi a oltranza per i porti di Trieste e Genova?

Obbligo di Green Pass da venerdì 15 ottobre nei luoghi di lavoro pubblici e privati. Protocolli rigidi per le aziende, che dovranno verificare che i propri dipendenti ne siano in possesso. E si preannuncia un venerdì nero di scioperi. Non solo autotrasporti e fabbriche: in fermento anche il maggior snodo portuale italiano, quello di Trieste, che con una percentuale di non vaccinati superiore alla media italiana, ha indetto uno sciopero a oltranza fino a quando il governo non toglierà l’obbligo di Green Pass, e sembra non sentire ragioni di fronte all’offerta di tamponi gratis (opzione soddisfacente invece per i sindacati Cgil, Cisl e Uil, che si sono quindi ritirati dalle proteste organizzate per domani). Segue il porto di Genova, mentre la situazione si preannuncia particolare ma gestibile in tutti gli altri porti d’Italia
Si preannuncia un venerdì di scioperi quello del 15 ottobre, data in cui entrerà in vigore l’obbligo di Green Pass nei luoghi di lavoro. Nel frattempo prosegue la campagna vaccinale, tanto che in Italia l’80,63% circa della popolazione vaccinabile ha completato il ciclo. Di contro, si stima ci siano ancora circa 3,3 milioni di lavoratori italiani senza neanche una dose di vaccino. Di questi, riporta La Repubblica, due milioni e mezzo sono dipendenti: 344 mila nel pubblico e 2,2 milioni nel privato, mentre 740 mila sono autonomi. Il numero è frutto di stime, in parte confermate anche dal governo. Numeri certamente minoritari rispetto ai vaccinati, ma che preoccupano in quanto la capacità italiana di processare tamponi, tra laboratori e farmacie si attesta sui 500 mila test circa massimi al giorno.
A destare particolare attenzione è lo sciopero proclamato dai lavoratori del porto di Trieste, il primo in Italia per numero di merci movimentate, davanti a Genova, Gioia Tauro, Livorno e Ravenna. Uno sciopero che “andrà avanti a oltranza fino a quando il governo non toglierà l’obbligo di Green Pass” fa sapere il portavoce dei portuali Stefano Puzzer (Clpt) che ci tiene a far sapere di essere vaccinato e di non essere un NoVax, ma semplicemente a favore della libera scelta. A far riflettere anche il fatto che in questo specifico caso ben il 40% dei portuali (percentuale doppia rispetto alla media italiana) risulta non vaccinato. “Il Green Pass non è una soluzione sanitaria e deve essere cancellata” sostiene Puzzer, che prosegue affermando che in caso di gravi danni economici al porto e all’economia italiana la colpa sarà del governo che non ha tolto l’obbligo di Green Pass. E poco importa se ci siano già delle farmacie convenzionate e tamponi gratis a disposizione per i portuali: infatti, le aziende che operano nello scalo di Trieste si sono già dette disponibili a pagare i tamponi fino a fine emergenza sanitaria (fissata al 31 dicembre 2021), “a patto che dal 16 ottobre riprenda l’attività”. Proposta soddisfacente per i sindacati Cgil, Cisl e Uil, che si sono quindi ritirati dalle proteste organizzate per domani.
Nel frattempo il blocco dell’attività a oltranza che intende attuare il Coordinamento dei lavoratori portuali di Trieste (Clpt) è stato dichiarato illegittimo dalla Commissione di garanzia dell’attuazione della legge sullo sciopero nei servizi pubblici essenziali. L’ente statale ha comunicato al ministero dell’Interno l’irregolarità dello sciopero che il Clpt ha indetto, per il momento, dal 15 al 20 ottobre: la Commissione ritiene fuori dalla legge lo sciopero di sei giorni dei sindacati Fisi e Confsafi, al quale il Clpt ha a sua volta aderito da Trieste. Se il porto di Trieste fa da apripista degli scioperi, com’è la situazione negli altri snodi marittimi italiani? La maggior parte dei porti non ha indetto scioperi e ritiene improbabile che ci possano essere forti ritardi, tranne per il porto di Genova dove è stata convocata una riunione in prefettura tra i sindacati e le aziende del porto, che vede il 20% del personale non vaccinato. La metà, dunque, di quello ipotizzato a Trieste, ma pur sempre abbastanza, in caso di sciopero, per mettere in difficoltà le operazioni portuali. In questo caso alcuni terminalisti (Terminal Psa di Pra’ e il porto Petroli) hanno già reso noto che sosterranno il costo dei tamponi per i propri lavoratori, mentre si chiede che vengano allestiti centri per i tamponi nei varchi portuali per testare gli autotrasportatori che arrivano al porto.
A La Spezia le cose sembrano più tranquille e la percentuale di lavoratori in possesso di Green Pass all’interno delle aziende del blocco portuale, infatti, “porta a pensare che la situazione non dovrebbe presentare particolari problemi”. Anche a La Spezia il problema più importante, sempre secondo le stime, potrebbe essere quello con gli autotrasportatori, per i quali risulterebbe una percentuale più alta di lavoratori sprovvisti di certificazione o con vaccino non riconosciuto dall’Italia (Sputnik, ad esempio). Al porto di Venezia e in quello di Chioggia l’alto tasso di lavoratori vaccinati dovrebbe scongiurare disagi e azioni di protesta. Comunicazioni simili arrivano dalla Toscana per i porti di Livorno e Piombino, dove non dovrebbero comparire futuri disagi. Operatività garantita anche da parte del porto di Ravenna, fa sapere Daniele Rossi, presidente dell’Autorità portuale ravennate, che si dice consapevole della possibilità che si creino “situazioni fisiologiche” in cui ci si aspetta che il 15 ottobre non sia un giorno “normale, ma potrà essere comunque una giornata gestibile”. Così come non sono previsti blocchi a Civitavecchia, dove le percentuali di non immunizzati sono più alte che altrove.
Ottima la situazione nei porti del Sud Italia, dove di fatto non si prevedono scioperi: nei cinque moli pugliesi di Manfredonia, Barletta, Bari, Monopoli e Brindisi non si temono scioperi o blocchi, fa sapere il segretario generale dell’Autorità di sistema portuale del mare Adriatico meridionale, Tito Vespasiani, perché “nei nostri cinque porti il tasso di vaccinazione tocca in alcuni settori il 100%”. Non sono previsti scioperi al porto di Gioia Tauro, anche se non si sa con esattezza quanti siano i lavoratori muniti di Green Pass. La Cgil ha chiesto all’Autorità portuale di poter garantire i tamponi, che ha risposto che è una spesa non sostenere. Tocca quindi nel caso alle aziende capire se possono farsi carico dei tamponi, le quali però prima devono sapere il numero di dipendenti a cui fare tamponi, per poter poi valutare se possono o meno sostenere la spesa.
Al porto di Palermo la situazione sembra tranquilla, i portuali palermitani sprovvisti di Green Pass sarebbero soltanto una trentina su un totale di 450 lavoratori in organico nelle due società che operano all’interno del porto. Si tratta, dunque, di una percentuale stimata attorno al 7%, che non desta preoccupazione per l’operatività, motivo per cui non sono previsti tamponi gratis per gli operatori sprovvisti di Green Pass. In Sardegna quasi tutti i 650 portuali della Regione sono già vaccinati contro il Covid-19, quindi “la situazione è sotto controllo” fanno sapere i sindacati Uiltrasporti, Fit Cisl e Filt Cgil. Infine, anche a Napoli e Salerno l’alto tasso di lavoratori vaccinati dovrebbe scongiurare disagi e azioni di protesta.
 


Volotea: in vendita biglietti per voli agevolati Sardegna

Si parte dal 15 ottobre ma continuità a regime dal 18
Dalle 13 di oggi sono prenotabili sul sito e sulla app di Volotea i biglietti aerei relativi ai collegamenti in continuità territoriale dai tre scali della Sardegna - Alghero, Cagliari e Olbia - con gli hub di Roma Fiumicino e Milano Linate.


I ticket possono essere acquistati non solo on line, ma anche nelle biglietterie o tramite le agenzie di viaggio.
I prezzi previsti per gli oneri di servizio pubblico e riservati ai residenti sono 39 euro (tasse escluse) per i voli sulla Capitale e 47 (sempre tasse escluse) per il capoluogo lombardo.
Volotea fa sapere in una nota che da venerdì 15 - giorno in cui partirà il nuovo servizio di voli agevolati per i residenti in Sardegna - a domenica 17 ottobre, gli scali di Alghero, Cagliari e Olbia verranno collegati con Milano Linate e Roma Fiumicino con 2 frequenze giornaliere per ogni rotta. A partire da lunedì 18 ottobre, poi, entrerà a pieno regime la gestione della continuità territoriale di Volotea, fino a un massimo di ben 266 voli ogni settimana tra la Sardegna e la terraferma. La compagnia aerea opererà questi voli fino al 14 maggio 2022.
I primi voli in regime di continuità territoriale decolleranno domani, venerdì 15 ottobre, alle 7.00 e alle 19.00 da Alghero, Cagliari e Olbia con destinazione Milano Linate. Per Roma Fiumicino, si partirà alle 7.15 e alle 19.15 da Alghero e Olbia e alle 7.20 e alle 19.15 da Cagliari. Da Milano Linate sono previsti collegamenti verso Alghero alle 8.40 e alle 20.40, verso Cagliari alle 8.55 e alle 20.55 e verso Olbia alle 8.50 e 20.50. Da Roma Fiumicino sono disponibili voli alla volta di Alghero e Olbia alle 8.50 e 20.50, mentre verso Cagliari alle 9.00 e alle 20.55. Gli orari fanno riferimento ai primi 3 giorni e nuove frequenze verranno aggiunte a partire da lunedì 18 ottobre.

13 ottobre 2021

Green pass, Bonomi chiede rigore. Le grandi aziende sono pronte.

 

Chi non si sbilancia sono i gruppi finanziari, che hanno ancora tanti dipendenti in smart working. Solo Nexi conferma che introdurrà i controlli e non si attende problemi per il 15 ottobre

Le aziende, grandi e medie, sono pronte. Una volta si timbrava il cartellino, post Covid si mostra il Qr Code sul telefonino. "L'obbligo che entra in vigore nei prossimi giorni va rispettato in maniera rigorosa. Nessuna impresa può venire meno ai doveri fissati per legge di verifica del Green Pass", è la linea dura del presidente degli industriali Carlo Bonomi. "Sappiamo da un mese dell'introduzione dell'obbligo di Green pass nei luoghi di lavoro. Dal 15 ottobre non accettiamo più rinvii, obiezioni o aggiramenti. Non siamo disposti a dialogare", aggiunge.

Qualcuno in realtà sta ancora lavorando alla preparazione dei documenti e al set up di procedure e strumenti ma tra domani e mercoledì arriveranno le comunicazioni ai dipendenti sulle modalità operative del controllo e, a un primo sondaggio, pare che tutti si faranno trovare pronti. Alcune aziende hanno addirittura anticipato il provvedimento come alla Brunello Cucinelli, dove nulla è cambiato dalla decisione di luglio. Si entra in azienda solo con green pass già da questa estate, per gli altri 6 mesi (da allora) di aspettativa pagata. Qualcuno prevede di installare lettori automatici o totem che scannerizzano il Qr code e validano la certificazione altri li integreranno con i sistemi di controllo accessi e rilevazione presenze. La via più semplice e più diffusa è quella di dotare di uno smartphone il personale delle portinerie con la app del ministero. VerificaC19 consente la verifica della validità delle Certificazioni verdi Covid-19 e degli EU Digital Covid Certificate attraverso la lettura del codice del certificato e non prevede la memorizzazione o la comunicazione a terzi delle informazioni scansionate". Le fabbriche devono essere luoghi non solo di lavoro e reddito, ma di sicurezza per la comunità. Chi non rispetta l'obbligo, si mette fuori da patto di coesione sociale nazionale", ha continuato Bonomi e in generale i gruppi industriali si sono organizzati per tempo: in Brembo sono pronti, i controlli saranno fatti all'ingresso con l'app del ministero e si stanno mettendo a punto gli ultimi dettagli operativi.

Alla Piaggio i Green pass saranno controllati sia manualmente da addetti specializzati, sia tramite tornelli con lettori automatici, già dal 15 ottobre, nei poli produttivi e chi è sprovvisto di green pass deve comunicarlo per permettere all'azienda di organizzare i turni. Tra i grandi gruppi editoriali il Green pass è già molto diffuso, ai giornalisti è infatti richiesto per partecipare alla maggior parte degli eventi in presenza. Mediaset, che già sottopone i suoi dipendenti al tampone ogni settimana e si è già attrezzata per controllare il pass a chi usufruisce della mensa, è prevedibile che delegherà al servizio di guardiania che già verifica il badge e prende la temperatura ogni giorno all'ingresso. Tra le società di servizi Tim, che a ottobre aveva riaperto gradualmente tutte le sedi aziendali consentendo il rientro su base volontaria, un giorno a settimana o una settimana al mese, a partire da venerdì userà un sistema di verifica a campione dei certificati verdi a cura di personale dedicato. Il gruppo si è dovuto organizzare anche per controllare i tanti tecnici che lavorano al di fuori delle sedi aziendali, e ha introdotto un sistema di verifica digitale a distanza.

Chi non si sbilancia sono i gruppi finanziari, che hanno ancora tanti dipendenti in smart working. Solo Nexi conferma che introdurrà i controlli, e non si attende problemi per il 15 ottobre e Borsa Italiana, circa 700 i suoi dipendenti e per loro, divisi nelle tre sedi di Milano, Roma e Isernia il Green pass andrà mostrato all'ingresso alla reception. Esempi di una nuova normalità.

Più di 30 paesi si uniscono all'impegno degli Stati Uniti per ridurre le emissioni di metano

Il metano è il secondo motore del riscaldamento globale dopo le emissioni di anidride carbonica. Gli scienziati affermano che i tagli promessi potrebbero aiutare a evitare le peggiori conseguenze del cambiamento climatico.

L'amministrazione Biden lunedì ha annunciato che 32 paesi si sono uniti agli Stati Uniti nell'impegno a ridurre le emissioni di metano, parte di uno sforzo per fissare nuovi obiettivi per rallentare il riscaldamento globale prima di un importante vertice sul clima delle Nazioni Unite a Glasgow il prossimo mese.

Il metano è il secondo gas serra più diffuso dopo l'anidride carbonica, ma molto più potente a breve termine nella sua capacità di riscaldare il pianeta. È il componente principale del gas naturale e viene anche rilasciato nell'atmosfera da discariche, bestiame e permafrost in disgelo.

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L'impegno, sviluppato con l'Unione Europea, impegna le nazioni a ridurre le emissioni di metano del 30% entro il 2030.

Mentre i quattro maggiori produttori di metano - Cina, India, Russia e Brasile - non hanno aderito all'impegno, l'amministrazione ha annunciato che nove dei 20 maggiori inquinatori di metano del mondo hanno firmato. Oltre agli Stati Uniti e all'Unione Europea, sono Canada, Indonesia, Pakistan, Messico, Nigeria, Argentina e Iraq.

Gli impegni arrivano tre settimane prima che il presidente Biden e altri leader mondiali partecipino alla conferenza delle Nazioni Unite in Scozia, che ha lo scopo di persuadere le nazioni a rallentare il riscaldamento globale in modo che le temperature non aumentino più di 1,5 gradi Celsius, rispetto ai livelli prima dell'Industrial Rivoluzione.

Questa è la soglia oltre la quale gli scienziati affermano che i pericoli del riscaldamento globale - come ondate di calore mortali, scarsità d'acqua, cattivi raccolti e collasso dell'ecosistema - crescono immensamente. Le temperature medie globali sono già aumentate di circa 1,1 gradi Celsius.

John Kerry, l'inviato per il clima di Mr. Biden, ha detto lunedì che gli scienziati hanno scoperto che le emissioni di metano hanno rappresentato circa la metà di quell'aumento di temperatura. Ha definito il taglio del metano la "strategia singola più veloce che dobbiamo tenere a portata di mano un futuro più sicuro di 1,5 gradi centigradi".

L'amministrazione ha stimato che se le nazioni avranno successo, entro il 2050 ridurranno di 0,2 gradi Celsius il riscaldamento dell'atmosfera.

Perché mezzo grado di riscaldamento globale è un grosso problema?

Il metano ha una durata relativamente breve rispetto all'anidride carbonica, che rimane nell'atmosfera per centinaia di anni. Ma il metano riscalda l'atmosfera più di 80 volte più dell'anidride carbonica in un periodo di 20 anni.

"Ridurre l'inquinamento da metano è l'opportunità più rapida che abbiamo per aiutare a prevenire i nostri rischi climatici più acuti, tra cui perdita di raccolti, incendi, condizioni meteorologiche estreme e aumento del livello del mare", ha dichiarato Fred Krupp, presidente del Fondo per la difesa ambientale, un gruppo ambientalista. dichiarazione.

Inger Andersen, capo del Programma delle Nazioni Unite per l'ambiente, ha affermato durante l'incontro online che tagliare il metano non era una "carta per uscire di prigione". Deve integrare gli sforzi per ridurre le emissioni di anidride carbonica, ha affermato.

La tecnologia esiste in questo momento per ridurre il 75% delle emissioni globali di metano dalle operazioni petrolifere e del gas entro il 2030, secondo un rapporto della scorsa settimana dell'Agenzia internazionale per l'energia.

Attualmente, gli Stati Uniti regolano il metano rilasciato da nuovi pozzi di petrolio e gas. Nelle prossime settimane, l'Agenzia per la protezione dell'ambiente dovrebbe emanare regolamenti sul metano per i pozzi di petrolio e di gas esistenti.

L'amministrazione Biden ha anche annunciato lunedì che 20 filantropie hanno annunciato impegni di 223 milioni di dollari per sostenere i piani dei paesi per l'impegno sul metano.


Aerei. Il Governatore Solinas: "falso e strumentale attaccare la Regione" Tuta colpa della "Crisi Alitalia"

"I disagi che i passeggeri stanno subendo in queste ore, i ritardi e le cancellazioni dei voli, non hanno la minima attinenza con la gara in corso, e in via di definizione, con la quale la Regione Sardegna affiderà il servizio di continuità territoriale alla compagnia che si aggiudicherà la procedura negoziata". Lo afferma, in una nota, il governatore Christian Solinas.

"Attribuire alla Regione, indicando inesistenti ritardi o inadempienze, la situazione di crisi determinata dal fallimento di Alitalia e dalla complicata nascita di Ita - osserva Solinas - o dalle carenze di documentazione emerse in precedenza, è un'operazione palesemente strumentale e priva di ogni credibilità.

Siamo di fronte alle solite mistificazioni di chi non perde occasione, anche a costo di creare danni d'immagine e non solo al sistema economico produttivo della Sardegna, per cercare di piegare la realtà al proprio teorema indimostrato e indimostrabile: va tutto male, la colpa è del Presidente della Regione.

I numeri fino ad ora si sono incaricati di smentire tutte queste chiacchiere, e ci dicono con chiarezza che se abbiamo superato i 10 milioni di presenze nell'Isola, evidentemente il sistema dei trasporti è stato in grado di garantire in modo efficiente i collegamenti. Così come è ingiustificato il clima di allarme che alcuni tentano di creare in queste ore".

"Terminata la proroga precedentemente concessa ad Alitalia - prosegue il presidente della Regione - il vettore che si aggiudicherà in queste ore la procedura negoziata inizierà a svolgere regolarmente il suo servizio sulle rotte di continuità, con le tariffe e le frequenze prestabilite. Riguardo alla procedura seguita, anch'essa oggetto di critica strumentale, è bene ricordare che la Regione ha seguito scrupolosamente ed in maniera inappuntabile le modalità dettate dalla legge e dai regolamenti comunitari. E' perfino superfluo sottolineare - conclude Solinas - che la Regione non ha alcuna possibilità di modificare né le modalità di svolgimento della procedura né l'esito della stessa".

C’È DIFFERENZA TRA LA VIOLENZA DI DESTRA O QUELLA DI SINISTRA?

Si condannano giustamente le violenze e si plaude agli arresti di “neofascisti” a Roma, chiedendo anche lo scioglimento delle loro organizzazioni, ma si passa sopra su quelle di Milano, dove 50 “anarchici insurrezionalisti” e “neo-comunisti” dei centri sociali sono stati fermati per violenze analoghe (simili a quelle che gli stessi gruppi hanno perpetrato in passato, spesso avvalendosi di una “comprensione” a sinistra). Bastano le etichette che i violenti si danno (spesso pretestuosamente e anacronisticamente) per giustificare un doppio peso?

Le violenze di chi si richiama folcloristicamente a ideologie “di sinistra” (probabilmente senza conoscerle) sarebbero più tollerabili di quelle di chi si richiama folcloristicamente al fascismo (spesso senza nemmeno sapere cosa esso sia stato)? La verità probabile è che si tratta, in entrambi, i casi di individui disadattati che si danno una maschera ideologica e un pretesto “politico” per esprimersi con la violenza, che è l’unico linguaggio e l’unico strumento di cui dispongano per carenza di istruzione e di immaginazione. La democrazia liberale si deve difendere da entrambi nella stessa maniera, senza doppi pesi e doppi standard.

La persistenza in Italia di quel peculiare doppio peso deriva dall’ambigua pedagogia dell’antifascismo ufficiale e retorico, che ha concesso per molti decenni una patente di democraticità all’ideologia e alle violenze comuniste, in nome delle presunte “buone intenzioni universaliste di giustizia sociale” comuniste e della partecipazione dell’Urss e dei partiti comunisti europei (ma solo dopo l’invasione dell’Unione Sovietica del giugno 1941!) alla guerra delle democrazie occidentali al nazifascismo.

Questa equivoca pedagogia ha lasciato sopravvivere il mito (esplicito per esempio in Antonio Gramsci) della “violenza progressiva” che sarebbe giustificabile (e anzi per qualcuno l’unico mezzo efficace per trasformare il mondo), a differenza della “violenza reazionaria” e persino di quella istituzionale e delle forze dell’ordine dello Stato democratico e liberale in quanto “borghese”. È tempo di chiarire che la violenza, anche politica, in una democrazia liberale è sempre inaccettabile, sia quella “di destra”, sia quella “di sinistra” e che il nemico della società aperta e libera nel Novecento è stato il totalitarismo, sia quello fascista che quello comunista. 

12 ottobre 2021

Zona Franca in Sardegna, il peccato originale del 1947


Ho già avuto modo di sottolineare come lo Statuto della Regione Autonoma della Sardegna attualmente in vigore sia stato il risultato della debolezza e forte divisione tra i sardi, incapaci di resistere ai richiami ed agli interessi (e logiche) della politica nazionale.

Infatti l’attuale Statuto, di tipo cosiddetto autonomistico, si è rivelato negli anni uno strumento assolutamente insufficiente ed inadeguato a rispondere alle esigenze particolari dei sardi e della Sardegna finendo per rappresentare una foglia di fico, un modo cioè per nascondere ciò che era palese: il ratto dell’autodeterminazione dei sardi da parte dei partiti della Repubblica Italiana, senza esclusione alcuna.

Come per le questioni finanziarie e fiscali, anche sul fronte delle politiche doganali la discussione della Consulta sarda, una sorta di struttura di autogoverno della Sardegna, nel Gennaio 1947 fu molto controversa.

Sul punto l’unico partito ad avere una visione netta e le idee chiare fu il partito sardista, le cui proposte, tutte imperniate sull’indipendenza doganale e sulla zona franca, furono totalmente respinte in favore di un sistema misto come quello siciliano, un sistema, insomma, centralizzato con qualche piccola eccezione, come la richiesta di libera importazione dell’occorrente per l’industria e l’artigianato, la possibilità di istituire punti franchi, l’estensione di privilegi agricoli ai trasporti agricoli, il parere vincolante della Regione sarda sui trattati concernenti scambi importanti per l’isola. Tutti i rappresentanti in seno alla Consulta, ad eccezione del rappresentante sardista, avevano respinto l’ipotesi della zona franca illimitata.

La discussione che ne seguì, alla quale intervennero i deputati Lussu, Laconi, Mannironi e Gesumino Mastino, evidenziò come, nonostante i reiterati richiami alla necessitò di costituire un fronte unico autonomistico di tutti i partiti per presentarsi compatti al confronto nazionale, permanessero voli differenze tra le diverse forze politiche soprattutto sui poteri da atribuire alla Regione. Le raccomandazioni dei costituenti sardi era quella di seguire le indicazioni ed i limiti del progetto predisposto dalla sottocommissione della Costituente evitando esagerazioni. Aleggiava, srmpre più avvertibile, insomma, uno spirito di autocensura, giustificato dalla necessità di un pragmatiscmo imposto dall’evoluzione della situazione politica nazionale,

A distanza di 70 anni da questi fatti, che ricostruiamo grazie all’impegno ed allo studio di quanti si sono prodigati nel riportare fatti ed avvenimenti storici, i sardi e quanti abbiano contezza e conoscenza della Storia della Sardegna, hanno il dovere di riprendere il filo da dove è stato interrotto, anzi direi spezzato, e riproporre con urgenza allo Repubblica Italiana un modello di Statuto che risponda finalmente alle esigenze ed ai diritti di autodeterminazione del popolo sardo.

E’ con questo spirito che è nato da qualche mese il progetto Sardegna Stato Federale il quale, coinvolgendo tutti i sardi di buona volontà e superando finalmente le incomprensibili divisioni basate unicamente su categorie ed interessi estranei a quelli dell’isola, determini finalmente quella spinta politica che possa rimettere in discussione, in una contrattazione pattizia e democratica, il rapporto tra la Sardegna e la Repubblica Italiana.

Aerei: Volotea verso assegnazione voli agevolati Sardegna

Offerta più vantaggiosa rispetto a Ita.

Tra Ita e Volotea è la compagnia spagnola ad aver presentato le offerte più vantaggiose per la copertura dei voli in continuità territorale da e per la Sardegna, dal 15 ottobre 2021 al 14 maggio 2022. Ora il seggio di gara è riunito per verificare la documentazione.

Gli esiti attesi in serata. Rispetto alla base d'asta di 37 mln, Ita ha presentato un'offerta di 28,4 mln (ribasso 8,5 mln), Volotea di 21 milioni (ribasso 15,9 mln): una differenza di 7,3 mln che premia il low cost. Se dovesse vincere la gara, alle casse della Regione la continuità costerebbe 21mln e non 37, con la vittoria di Ita invece il costo sarebbe di 28 mln.

ASSESSORE TODDE, VOLOTEA HA LE CARTE IN REGOLA - "Credo che ci siano le condizioni per l'aggiudicazione della gara a Volotea, sia per i ribassi maggiori presentati rispetto a Ita, che per la documentazione che sembra avere le carte in regola". Così l'assessore dei Trasporti della Regione Sardegna, Giorgio Todde, dopo l'apertura delle buste con le offerte per i voli in continuità territoriale da e per la Sardegna dal 14 ottobre e per i prossimi 7 mesi. "A noi interessa - ha chiarito l'esponente della Giunta - che a prescindere dal vettore aggiudicatario sia garantito un servizio efficiente, chiaro e confortevole per i cittadini sardi, per il diritto alla mobilità". Sull'esito della gara: "La commissione sta lavorando a tappe forzate, speriamo che stasera si individui la compagnia vincitrice per far sì che non sia interrotto il pubblico servizio".

Obbligo di Green Pass: tutto quello che c’è da sapere per il 15 ottobre. Ecco le linee guida.

Tutti coloro che per motivi di lavoro si recano in un ufficio pubblico dovranno esibire il Green pass. Dunque, per il primo accesso, non solo i dipendenti, ma anche corrieri, addetti alle pulizie, alla ristorazione, alla manutenzione, al rifornimento dei distributori automatici, consulenti e collaboratori, nonché prestatori o frequentatori di corsi di formazione, come pure i corrieri o chi partecipa a eventi, autorità e politici compresi. È quanto prevedono le linee guida sull’obbligo del Green pass, firmate oggi dal presidente del Consiglio, Mario Draghi, in vista dell’entrata in vigore del provvedimento il 15 ottobre. Sono esclusi dall’obbligo, invece, gli utenti e coloro che sono esonerati dalla campagna vaccinale.

Cosa fare se si è in attesa del rilascio del Green pass

Le linee guida, proposte dai ministri della Pubblica amministrazione, Renato Brunetta, e della Salute, Roberto Speranza, sono contenute in un apposito Dpcm. Il testo, di cui ha dato conto una nota di Palazzo Chigi, prevede che «i soggetti in attesa di rilascio di valida certificazione verde potranno utilizzare i documenti rilasciati dalle strutture sanitarie pubbliche e private, dalle farmacie, dai laboratori di analisi, dai medici di medicina generale e dai pediatri di libera scelta».

Che succede a chi non lo ha o si rifiuta di esibirlo

Palazzo Chigi ricorda poi che «i soggetti sprovvisti di certificazione verde dovranno essere allontanati dal posto di lavoro. Ciascun giorno di mancato servizio, fino alla esibizione della certificazione verde, è considerato assenza ingiustificata, includendo nel periodo di assenza anche le eventuali giornate festive o non lavorative». Inoltre, «i giorni di assenza ingiustificata non concorrono alla maturazione di ferie e comportano la corrispondente perdita di anzianità di servizio». Per chi non è fornito di Green pass, poi, non è prevista alcuna deroga, dunque il governo non ha contemplato la possibilità dello smart working. «In nessun caso – avverte Palazzo Chigi – l’assenza della certificazione verde comporta il licenziamento».

Cosa succede in caso di interruzione di servizi essenziali

Nel caso in cui, in base alle comunicazioni fornite dai lavoratori, dovesse emergere una interruzione di servizio essenziale, il sindaco o il datore di lavoro, per le altre amministrazioni, potrà attivare, in via d’urgenza, convenzioni tra enti senza particolari formalità. Agli stessi fini si potrà adottare ogni misura di riorganizzazione interna, come mobilità tra uffici o aree diverse, idonea a fronteggiare l’eventuale impossibilità di poter impiegare personale perché sprovvisto di Green pass.

Chi è preposto ai controlli

Il soggetto preposto al controllo è il datore di lavoro, che però «può delegare questa funzione con atto scritto a specifico personale, preferibilmente con qualifica dirigenziale. Le linee guida lasciano libero il datore di lavoro di stabilire le modalità attuative». Dunque, ogni ente sarà autonomo. «Il controllo – spiega ancora la nota del governo – potrà avvenire all’accesso, evitando ritardi e code durante le procedure di ingresso, o successivamente, a tappeto o su un campione quotidianamente non inferiore al 20% del personale in servizio, assicurando la rotazione e quindi il controllo di tutto il personale».

Maggiore flessibilità in entrata e in uscita

Il Dpcm inoltre prevede una maggiore flessibilità negli orari di ingresso e di uscita. «Ogni amministrazione, anche al fine di non concentrare un numero eccessivo di personale sulle mansioni di verifica della certificazione verde, dovrà provvedere ad ampliare le fasce di ingresso e di uscita dalle sedi di lavoro del personale alle proprie dipendenze. Sarà quindi consentito il raggiungimento delle sedi di lavoro stesse e l’inizio dell’attività lavorativa in un più ampio arco temporale».

Con quali strumenti si controlla il Green pass

Infine, «per le verifiche, sarà possibile usare l’applicazione gratuita Verifica C-19. Inoltre, saranno fornite alle amministrazioni applicazioni e piattaforme volte a facilitare il controllo automatizzato, sul modello – conclude la nota di Palazzo Chigi – di quanto avvenuto per scuole e università».

11 ottobre 2021

IL FALLIMENTO DEL SISTEMA ISTITUZIONALE

È inutile girarci troppo intorno: la disarmante facilità con cui l’Italia è diventato l’unico Paese al mondo a imporre un passaporto interno, persino per lavorare, rappresenta un grave fallimento del sistema istituzionale nel suo complesso. In pratica, siamo passati da una Repubblica fondata sul lavoro a un regime sanitario basato sui vaccini e sul green pass. Tutto questo senza che i vari contrappesi democratici, i quali nei sistemi avanzati rappresentano un argine molto importante contro ogni eventuale deriva, abbiano abbozzato una qualche significativa reazione. Tra questi, come è stato ribadito più volte da molti osservatori non allineati, un posto d’onore in un tale sfacelo democratico e costituzionale se lo è guadagnato, per così dire, gran parte dell’informazione nazionale, divenuta sin dall’inizio assolutamente funzionale alla linea del terrore e delle restrizioni senza precedenti. Ma anche, ahinoi, i due massimi organismi di garanzia costituzionale, il capo dello Stato e la Consulta, non hanno mai avuto nulla da eccepire in merito a tutta una serie di misure estremamente restrittive dai dubbi effetti sul contenimento di un virus divenuto oramai endemico.
Evidentemente, partendo dal presupposto che alla fine ogni popolo ha il sistema istituzionale che si merita, al pari del Governo, dobbiamo rassegnarci alla consapevolezza di vivere in un Paese politicamente e culturalmente non molto evoluto. Non a caso l’Italia si trova ai vertici della ben poco edificante classifica dell’analfabetismo funzionale. Secondo alcune stime autorevoli, dal 28 per cento al 46 per cento dei nostri concittadini tra i 16 e i 65 anni non sarebbero in grado di comprendere, valutare e utilizzare in maniera efficace le informazioni in cui si imbattono. Un deficit che da tempo rappresenta un vero e proprio allarme sociale per un Paese da sempre troppo incline a guardarsi l’ombelico e che ha consentito al sinistro partito unico del terrore, al netto degli indottrinati e degli utili idioti, di operare una colossale manipolazione di massa, facendo passare l’idea che ci dovevamo difendere da una malattia quasi incurabile.
Pertanto, dopo che persino al vertice del potere si è voluto accreditare la tesi secondo cui chi non si vaccina muore – nonostante i numeri generali della pandemia dicano ben altro – l’abominevole introduzione di un passaporto interno per poter semplicemente condurre una esistenza normale ha costituito una conseguenza logica di simili premesse. E il fatto che, a parte Massimo Cacciari, Giorgio Agamben e pochi altri autorevoli pensatori, non ci sia praticamente nessuno nel “mondo” che conta a denunciare una simile catastrofe politica e istituzionale, rappresenta una ulteriore conferma dello sfacelo che stiamo vivendo e subendo.
 


Portuali di Trieste contro il Green Pass: «Se solo uno sarà lasciato fuori, non entrerà nessuno»

Oggi è giornata di sciopero generale. A chiamare allo sciopero i lavoratori sono stati i sindacati di base, gli unici ormai rimasti a rappresentare realmente i lavoratori. Gli altri, CGIL in testa, sono ormai appiattiti sull’agenda governativa, non rappresentano e tutelano gli interessi dei lavoratori che ormai li percepiscono come distanti. 
Una distanza plasticamente ravvisabile questa mattina durante il corteo di Milano. Di passaggio davanti al presidio CGIL presso la Camera del Lavoro meneghina i manifestanti hanno sonoramente contestato la CGIL. Dal Draghi vaffanculo di sabato, siamo passati al Landini vaffanculo di lunedì. 
E bisogna dire che la CGIL non ha fatto proprio nulla per tentare di riavvicinarsi a quel mondo che dovrebbe rappresentare. Il green pass penalizzerà tanti lavoratori che non vogliono o non possono vaccinarsi, i quali dal prossimo giorno 16 - giorno in cui scatterà l’obbligo di lasciapassare - saranno costretti a spendere una cifra esorbitante in tamponi per poter lavorare, da decurtare ai già magri salari, o andranno incontro la licenziamento. 
Hanno aderito alla protesta anche i lavoratori portuali di Trieste che hanno ribadito un concetto ben chiaro: «Non entrerà nessuno di noi il giorno 15 ottobre, se anche uno solo sarà lasciato fuori perché senza green pass». 
Si chiama solidarietà di classe, ed è ora che la classe operaia riscopra questa arma importantissima, come indicano i lavoratori portuali di Trieste. Gli stessi che già dopo gli ormai ben noti fatti di Roma, con l’assalto fascista alla CGIL, riguardo alla loro adesione allo sciopero scrivevano: «Domani in corteo non dovremmo cadere in tranelli infiltrazioni o quel che sia di fuorviante da una manifestazione per la libertà e no green pass non bisogna usare violenza in nessun caso di base e soprattutto contro sindacati, TV, giornalisti». 
Perché in caso di episodi genere «li rendiamo solo martiri e gli diamo importanza. Importanza che non si meritano. 
Dobbiamo essere indifferenti nei loro confronti. 
Anzi auspichiamo che domani chi fa parte delle forze dell'ordine capisca che è un diritto anche loro la libertà di scelta e si unisca a noi al corteo. 
Noi manifesteremo in modo pacifico». 
Cosa che è avvenuta e che conferma la grande intelligenza dei portuali di Trieste. 
Infine, una domanda: verranno tacciati di essere NoVax e fascisti anche loro?
Fonte: l'AntiDiplomatic
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09 ottobre 2021

ASPETTANDO GODOT DELLA ZES LA SIGNORA FRANCA ZONA MUORE

La ZES sarda sí é rivelata da subito un espediente della sinistra moribonda per sostituire la Zona franca sardista e dare da bere nuvole al suo ceto burocratico/imprenditoriale assetato di assistenzialismo. Aspettando il Godot di sovvenzioni improduttive che né il Governo gialloverde prima, e neppure quello giallorosso poi  e quello attuale hanno nelle loro tasche sfondate, la Zona franca dei sardi, che aspetta che sia applicato il decreto 75/98 é ferma e derelitta.
Ben altro ci vuole per dare speranza e posti di lavoro ai sardi senza aspettare elemosine che sono solo promesse irrealizzabili.
Intanto bisogna salvare il Porto di Cagliari, l’aeroporto di Elmas e la sua area industriale contigua di Macchiareddu dichiarando con forza che quella é l’area della Zona franca Cagliaritana e procedendo in quella direzione come applicazione del 75/98 e il suo specifico decreto successivo. Non il ridicolo fazzolettino di zona franca concordato fra Autorita portuale, Zedda e Pigliaru prima della loro sconfitta. Questo fazzolettino di zona franca serve solo per piangere la morte del Porto canale. Sono rimaste solo l’Autoritá portuale e il fantasma della Cagliari free zone ad essere gestite dalla sinistra e a continuare a portare avanti vecchie politiche fallimentari e improduttive. Andrebbero commissariate. Purtroppo bisognerá attendere le elezioni politiche per avere un nuovo governo che in sinergia con la nostra Giunta regionale possa invertire la rotta. Si tratta quindi di anni prima che la Zona franca sarda e in particolare quella cagliaritana possa iniziare a vagire. A meno che il Presidente Solinas non compia anche per la Z.F. un miracolo politico realizzato come per la vertenza delle entrate. Mai dire mai, ma la Sardegna é alla canna del gas e non importa se GNL gassoso o liquefatto. (Fonte: diario social a cura di Mario Carboni
)

LIBERTÀ E PAURA. IL SENSO DELLA VITA.

Che senso ha la mia vita? È la domanda che mi hai fatto, dando voce così all’inquietudine più profonda del Tuo cuore. È una domanda importante e sono contento che Tu me l’abbia fatta, perché questo vuol dire che sei una persona che si mette in gioco nel cercare la verità e che nel tuo intimo credi alla dignità della vita che ci è stata donata. È vero che non tutti sembrano farsi questa domanda, anche se sono convinto che in ciascuno essa sia presente come un tarlo nascosto, un desiderio incancellabile, che resta tale anche quando non è espresso. Se mi chiedi il perché di questa mia convinzione non esito a risponderti che interrogarci sul senso di ciò che scegliamo e facciamo ci aiuta a essere più ricchi di umanità, motivati e aperti alla felicità, di cui abbiamo bisogno come dell’aria che respiriamo. Dare senso alla vita è consentire alla nostra anima di respirare, e il respiro dell’anima è ciò che ci fa vivere veramente. Il senso della vita non è insomma qualcosa d’irrilevante: chi pensa di farne a meno, si accorgerà presto che i suoi atti sono come frammenti senza comunicazione fra loro, e la somma dei suoi giorni gli apparirà prima o poi come un peso faticoso a portarsi.
Quando invece ti svegli al mattino e hai uno scopo per vivere, tutto risulta diverso e perfino la fatica del quotidiano diventa sostenibile o addirittura bella e degna di essere affrontata. Se poi rifletti su questo scopo, ti accorgerai facilmente che esso non è mai semplicemente qualcosa: non si può vivere unicamente per l’avere, il piacere o il potere. Anche se attraenti, il fascino delle cose, l’uso gratificante e il dominio di esse passano presto, lasciando una percezione di vuoto nell’anima. A dare senso alla vita non è mai solo qualcosa, è piuttosto qualcuno. Un antico proverbio lo dice in maniera incisiva: “Si può vivere senza sapere perché, ma non si può vivere senza sapere per chi!”.
È per questo che il senso della vita si trova unicamente nell’amore: chi ama, ha qualcuno per cui vivere, lottare e sperare, ha un motivo sufficiente per affrontare e offrire sacrifici, uno scopo che dà gioia al cuore per il solo fatto di esserci. Chi ama, va incontro alla fatica dei giorni con una ragione di vita e di speranza più forte del prezzo da pagare, del sudore e delle lacrime da versare. L’amore è la gioia della vita e un’esistenza senza amore è semplicemente triste e vuota. Se ami qualcuno, e se il tuo amore è ricambiato, la tua gioia può toccare momenti intensissimi, di cui neanche le prove più grandi riescono a cancellare l’attesa e il ricordo. Per la stessa ragione, l’amore non amato, quello cioè cui non è dato di essere ricambiato nella reciprocità delle coscienze, può dare sì senso alla vita, ma fa conoscere anche il dolore più profondo e porta a volte ad attraversare le tenebre più fitte. Soprattutto, l’amore non perdona alla morte, non si arrende all’annullarsi della possibilità della visibile presenza dell’amato e sente la fine inesorabile, legata all’ultimo silenzio, come intollerabile ferita, insopportabile limite. È proprio sulla soglia della fragilità e della caducità di ogni amore umano, anche del più grande, che il nostro cuore percepisce il bisogno di un orizzonte ulteriore, che sia custodia all’amore e lo salvi con vincoli d’eternità. Il senso della vita non può fermarsi a ciò che è mortale e penultimo, per quanto forte sia il legame che ad esso ci unisce: la vita ha senso se la meta e la patria per cui si vive, si soffre e si ama, ha la misteriosa potenza di vincere la morte, di dare alla nostalgia del cuore inquieto un approdo di eternità. È qui che nella ricerca del senso due amori si toccano: quello alla scena del mondo che passa, e quello a Colui che è in persona l’amore più forte della morte, origine, grembo e patria di ogni vero amore. La ricerca del senso sfocia così, con naturale continuità, nella ricerca di Dio e del Suo volto, nel desiderio e nella nostalgia del Totalmente Altro, che garantisca la vittoria ultima dell’amore sulla morte, della vita sul nulla. Sui sentieri della ricerca del senso da dare alle opere e ai giorni, come luce del cuore e forza del cammino, si passa inevitabilmente dalle cose alle persone da amare, e da queste all’inizio e alla sorgente di ogni amore, meta e destino di ogni vincolo d’amore che dia sapore alla vita. Ai cercatori del significato, che renda degna e bella l’esistenza, anche a quelli che hanno conosciuto la delusione di approdi troppo corti e troppo brevi, cercatori del senso perduto, l’incontro con l’amore personale di Dio, mistero del mondo, si offre come libertà donata: libertà dalla paura e dal dolore del non senso; dono non meritato né prodotto dalle nostre mani, offerta di gratuità che viene a noi, ci sorprende e illumina tutti gli spazi dell’anima a condizione di aprire la porta del nostro cuore. 
Sono illuminanti le parole di John Henry Newman, appassionato cercatore della verità, cui è stato dato di approdare al porto tanto desiderato. È il 1833 e, sulla nave che lo porta dalla Sicilia a Napoli nel suo primo viaggio in Italia, la nebbia che scorge gli appare come un’immagine della condizione umana, figura di chi nella scarsa visibilità dell’orizzonte cerca un senso alla vita: “Guidami Tu, Luce gentile, attraverso il buio che mi circonda, guidami Tu! La notte è oscura e sono lontano da casa, guidami Tu! Sostieni i miei piedi vacillanti: io non chiedo di vedere l’orizzonte lontano, un solo passo è sufficiente per me. Non sempre fu così, né io pregavo affinché Tu mi guidassi. Amavo scegliere e scrutare il mio cammino; ma ora sii Tu a guidarmi! Amavo il giorno abbagliante, e malgrado la paura il mio cuore era schiavo dell’orgoglio; non ricordare gli anni passati. Così a lungo la tua forza mi ha benedetto, e certo mi guiderà ancora, oltre brughiere e paludi, oltre rupi e torrenti, finché sia passata la notte; e con l’apparire del mattino mi sorrideranno quei volti angelici, che da tanto ho amato e che rischiavo di aver perduto”.
 

Ascoltare i giovani e le loro urgenti richieste, fare i conti con tutta la realtà.

Nella società occidentale in rapido invecchiamento i giovani sono una delle minoranze più ignorate. Le opinioni e le esigenze di chi ha meno di trent’anni scivolano facilmente in secondo o terzo piano quando si tratta di prendere le decisioni che contano.

La politica ritiene di poterselo permettere, perché nelle urne il peso dei giovani è scarso (in Italia sono appena più del 10% dell’elettorato) e ogni partito sa che, con il tempo, anche quei ventenni finiranno per diventare più docili e matureranno bisogni e idee ‘da vecchi’. Invece i giovani meritano di essere ascoltati. Soprattutto quando parlano di temi che – per ragioni che potremmo anche definire biologiche – riguardano loro più di chi li governa. Come il debito pubblico, che contiene anche un Btp da 5 miliardi di euro in scadenza nel 2072. O come, a livello mondiale, il cambiamento climatico, che pochi dei nostri attuali governanti avranno modo di sperimentare nei suoi effetti più temibili, previsti dagli scienziati per la seconda parte di questo XXI secolo.

L’evento ‘Youth4Climate: Driving Ambition’ è stato una bella occasione di ascoltare questi giovani. Da giovedì a ieri 400 ragazzi e ragazze tra i 15 e i 29 anni di età arrivati a Milano da 186 Paesi hanno potuto discutere e fare proposte su come intervenire contro il riscaldamento climatico. Fra un mese, alla Cop26 di Glasgow, le loro idee potranno trovare spazio al vertice ‘degli adulti’. La voce dei giovani ha avuto ascolto e finalmente anche un’abbondante attenzione mediatica.

Sono nativi digitali, sanno come catturare l’attenzione nell’era dei social. Il ‘bla bla bla’ con cui Greta Thunberg ha liquidato gli impegni dei politici sul taglio delle emissioni è un piccolo capolavoro da social, una perfetta ‘gif’ da rilanciare su Tik-Tok. Quando però si è trattato di fare proposte concrete i giovani di Youth4Climate purtroppo non si sono dimostrati molto diversi dagli adulti. I punti centrali del documento finale approvato a Milano sono in larga parte obiettivi già condivisi e anche messi in pratica in decine di Paesi: ripresa sostenibile con al centro le rinnovabili, piani per l’azzeramento delle emissioni da parte delle aziende private, coinvolgimento dei giovani nelle decisioni sul clima, formazione nelle scuole sul tema della crisi climatica.

L’unico punto davvero divisivo, il più ambizioso, è l’abolizione dell’industria dei combustibili fossili entro il 2030. È una richiesta così irrealistica da avere l’aria di una provocazione. Il carbone, il petrolio e il gas naturale sono stati il carburante della crescita economica globale degli ultimi due secoli. Tutt’ora, dicono i numeri dell’Agenzia internazionale dell’energia, otteniamo dalle fonti fossili l’81% dell’energia che consumiamo nel mondo.

È un enorme problema, perché ogni volta che bruciamo idrocarburi – anche quando accendiamo il fornello per farci il caffè la mattina – rilasciamo anidride carbonica in atmosfera e alimentiamo il surriscaldamento climatico. Purtroppo però non abbiamo a disposizione soluzioni semplici. Ovunque si sta sviluppando nuova capacità di energia rinnovabile, che ottiene circa l’80% degli investimenti del settore e genera ancora meno del 2,2% dell’energia complessiva.

L’Europa sta forzando il passaggio dalle auto a motore termico a quelle elettriche o a idrogeno entro il 2035. Aziende che producono materiali essenziali per la nostra quotidianità, come la plastica, l’acciaio o il vetro, stanno cercando un modo per continuare a farlo senza usare idrocarburi, o almeno azzerando le emissioni di CO2. Il disinvestimento dalle fonti più inquinanti è iniziato. L’addio al carbone si sta facendo vicino, l’abbandono del petrolio sembra un po’ più distante, mentre il gas naturale probabilmente ci accompagnerà ancora a lungo, ma non per sempre.

L’uscita dall’era delle fonti fossili è un passaggio epocale per la storia dell’uomo, nessuno può pensare di completarlo nel giro di un decennio. Non per mancanza di volontà, ma per oggettiva impossibilità tecnica. «Siate realisti, chiedete l’impossibile» è stato uno dei più efficaci slogan del Maggio parigino. Un ossimoro del ’68, oltre mezzo secolo fa. Servono parole e atteggiamenti nuovi. Hanno ragione i giovani dello Youth4Climate quando attaccano la pigrizia e la mancanza di coraggio dei governi, che disattendono sistematicamente gli impegni sul taglio delle emissioni. Sbagliano però a non vedere, o ignorare, le difficoltà tecniche della transizione ecologica e i suoi dolorosi effetti sociali sulla popolazione. Quelli del ‘bla bla bla’ non aspettano altro per elargire loro i soliti sorrisi paternalistici che gli adulti riservano ai bambini che la sparano grossa. Servono coraggio e concretezza per non uccidere i sogni.

L’anno del Covid-19 non ha risparmiato bambine e bambini.

I dati elaborati per il Dossier indifesa di Terre des Hommes dal Servizio Analisi Criminale della Direzione Centrale Polizia Criminale evidenziano le conseguenze drammatiche dei lunghi periodi in casa. Rispetto al 2019 nel nostro Paese si registra, infatti, un aumento del 13% delle vittime minorenni del reato di Maltrattamenti contro famigliari e conviventi (art. 572 del Codice Penale). Ben 1.260 bambine e 1.117 bambini hanno subito violenze in famiglia che hanno richiesto l’intervento delle Forze dell’ordine, abusi che avranno ripercussioni per tutta la loro vita! Allarmante l’aumento delle vittime per tale reato nel decennio 2010-2020 che registra un +137%.

Anche se rispetto all’anno precedente nel 2020 il numero di minori vittime di reato è leggermente calato, passando da 5.939 a 5.789 (-3%) alcuni reati hanno avuto un incremento notevole, complice il lockdown. In un anno in cui i reati telematici sono cresciuti del 13,9%, non stupisce che anche un reato come la Detenzione di materiale pornografico realizzato utilizzando minorenni sia in forte aumento, con un balzo del 14% delle vittime minorenni, e addirittura del 525% su 10 anni (2010-2020).

Per contro, la pandemia ha reso più complicata l’intercettazione di altre forme di reato, in particolare, a calare sono i casi di Abuso di mezzi di correzione o disciplina (-36%), quelli di Prostituzione Minorile (-34%), gli Atti sessuali con minorenni di anni 14 (-21%), i casi di Corruzione di Minorenne (-16%,) e quelli di violenza sessuale (-13%).

Marcata la differenza di genere: la maggioranza delle vittime sono infatti bambine e ragazze, con una percentuale che arriva addirittura al 65% dei casi. Un dato tra i più alti mai registrati nella serie storica raccolta in questi dieci anni da Terre des Hommes, con punte dell’89% per i casi di Violenza Sessuale Aggravata e dell’88% per quelli di Violenza Sessuale, subita l’anno scorso da ben 488 bambine e ragazze nel nostro Paese. Ma anche tra le mura domestiche, con il 53% dei casi di Maltrattamento, il reato si è consumato sui corpi e sulla psiche di bambine e ragazze.

Analizzando più da vicino la situazione nelle diverse regioni d’Italia, la Lombardia si conferma come la prima regione d’Italia per numero di minori vittime di reato (963 nel 2020), seguita da Emilia Romagna con 705 vittime, Sicilia (672), Lazio (464), Veneto (443), Toscana (392), Piemonte (364) e Campania (360). In tutte la componente di genere femminile è prevalente.

Sempre la Lombardia ha il triste primato di minori vittime dei reati di maltrattamenti in famiglia e violenze sessuali, rispettivamente con 367 e 108 vittime. Ad aver registrato il maggior numero di omicidi volontari sono invece Campania e Piemonte, ciascuna con 3 vittime.

Il decimo Dossier indifesa è stato presentato oggi da Terre des Hommes a Roma alla presenza della Ministra per le Pari Opportunità e la Famiglia Elena Bonetti, della Sottosegretaria di Stato alla Presidenza del Consiglio con delega allo Sport Valentina Vezzali e del Direttore del Servizio Analisi Criminale del Dipartimento della Pubblica Sicurezza Stefano Delfini.

Il Covid 19 non ha avuto ripercussioni solo nel nostro paese. Come ampiamente descritto nel dossier la pandemia sta avendo conseguenze drammatiche in tutto il mondo: tra gli 11 e 20 milioni di bambine e ragazze hanno lasciato la scuola a causa dei lockdown e si stima che nei prossimi dieci anni il numero di spose bambine aumenterà di 10 milioni.

Un dato su tutti riassume il tempo perso in questi due anni nella lotta alle discriminazioni di genere: se prima del Covid-19 si stimava che sarebbero stati “sufficienti” 99 anni per raggiungere la parità di genere, oggi se ne stimano almeno 135: in meno di 2 anni ci siamo letteralmente mangiati i progressi di un ventennio.

Nonostante i numeri sconfortanti il rapporto riesce a offrire anche una panoramica di come, attraverso la segmentazione dei dati, la sperimentazione di buone pratiche, e soprattutto il protagonismo delle ragazze e dei ragazzi, si siano ottenuti risultati concreti, sfidando vecchie consuetudini, tabù e leggi ormai superate dal sentimento comune.

Il dossier Indifesa 2021 è disponibile qui 

EX liceo Artistico di Piazza Dettori

Da futura residenza per gli artisti, a rifugio dei senzatetto.

È questo l’obiettivo dell’amministrazione Truzzu?

Estate 2020. Per l’imminente inizio dei lavori si sono cacciate tutte le associazioni che a vario titolo occupavano lo stabile. Associazioni che svolgevano molteplici attività socio-culurali, le cui ricadute avevano effetti positivi anche sulle realtà economiche e sociali del quartiere.

Oggi, a distanza di un anno e mezzo, i lavori non sono  mai iniziati. Un residente del quartiere racconta che anonimi addetti dell’altrettanto anonima ditta appaltatrice (Anonima in quanto non compare uno straccio di cartello che dovrebbe riportare tutte le indicazioni di legge), si sono visti una sola volta. E dopo aver rotto il vetro di una finestra, hanno lasciato le luci accese giorno e notte per un mese. E chi paga la corrente? Sarà anche questa messa a carico dei cittadini con le tasse comunali? Quella che si prospetta è un'altra incompiuta. Come tante altre, annunciate con prosopopea dai lavori pubblici, che a parte i bandi per le progettazioni varie, i lavori rimangono un incognita senza tempo. I cittadini del quartiere intanto devono assistere e convivere con il degrado dello storico stabile, con quel recinto che circonda l’EX liceo Artistico diventato alloggio per disagiati e senza tetto. Complimenti Sindaco Truzzu. I cittadini del quartiere ringraziano.  

E la soprintendenza dei beni culturali che dice?


08 ottobre 2021

La questione della Zona Franca. Il punto di Adriano Bomboi

"Problemi economico-finanziari della Sardegna". È questo il titolo del nuovo libro del siniscolese Adriano Bomboi edito da Condaghes. 

Dopo diversi anni di letture confronti sull’argomento Zona Franca, sul quale ho sempre indicato Mario Carboni come riferimento certo e rigoroso, ho riletto in questi giorni ció che ha scritto Adriano Bomboi nel ultimo libro dedicato ai problemi economico-finanziari della Sardegna.
I temi trattati, accompagnati dai contributi di economisti e addetti ai lavori alle prese coi dati ufficiali e le dinamiche del mercato: dalla “guerra del latte” al problema dei trasporti, dalla situazione della sanità al piano paesaggistico regionale, passando per la vertenza entrate sino al controllo politico della Fondazione Banco di Sardegna (e la BPER). E inoltre, mancate zone franche, accise, basi militari, Abbanoa, dispersione scolastica, pensioni e spopolamento. Per la prima volta, l'opera osserva questi e altri argomenti relativi all’economia contemporanea dell’isola, senza cercare alibi nelle classi dirigenti del passato, per evidenziare le responsabilità della politica locale e dello Stato italiano nel drammatico ritardo di competitività del territorio. 
Lo riporto di seguito integralmente.
“Oggi una parziale ma decisiva risposta alla crisi dell’industria e delle manifatture può arrivare dall’istituto delle zone franche. Ma, si intenda, sia il contesto normativo che quello politico lasciano spazi ristretti a questa misura. I motivi sono molteplici: in primo luogo è necessario ricordare che ciò che in Sardegna viene definito zona franca, nel mondo esiste in un’ampia gamma di tipologie e sotto diverse denominazioni. Generalmente il porto franco consiste in un’area esente dal pagamento di imposte e dazi di importazione. Pensiamo alle Export Processing Zones (vedere le Zone Economiche Speciali, largamente utilizzate in Cina) in cui i vantaggi si proiettano nella capacità di realizzare beni per l’export sul mercato internazionale, grazie all’opportunità di attirare capitali stranieri, a loro volta stimolati da speciali incentivi fiscali. In secondo luogo, dobbiamo considerare che attualmente in Sardegna non esistono né le leggi, né la volontà politica per sviluppare qualcosa di paragonabile a queste soluzioni. Vi sono due motivi:
1) perché l’isola si trova inserita nel contesto normativo italiano ed europeo (tale per cui determinati benefici vengono concessi solo a minoritarie e/o periferiche zone UE, come le Canarie);
2) perché la confusione della politica attorno a tale misura genera, da un lato, politici propensi a propagandare fasulle zone franche al consumo o zone franche integrali; dall’altro, totale 
ostruzionismo alla determinazione degli unici punti franchi oggi giuridicamente possibili da attivare.
In merito al primo motivo possiamo pensare a tutti quei piccoli amministratori che, tramite delibere prive di fondamenti giuridici, attribuiscono al proprio comune poteri statuali, tali per cui si pretendono addirittura infondati sconti sul prezzo della fornitura di carburanti alle compagnie che operano nel loro territorio, e che ovviamente non vengono concessi. Né, costoro, sono in grado di argomentare quale economia sorreggerebbe l’isola nell’ipotetica attivazione di una zona franca integrale (che farebbe venir meno anche il gettito IRAP con cui oggi, ad esempio, viene finanziata una lauta percentuale della sanità, e nonostante l’IRAP sia da tagliare). Meglio sarebbe, come suggerì anche Paolo Savona prima della sua entrata nel governo Conte, una fiscalità maggiormente agevolata per chi crea il lavoro269.
Il secondo motivo invece attiene a una storica battaglia sardista, portata avanti non solo dal classico PSD’AZ, seppur a fasi alterne e grazie all’input di Mario Carboni, ma anche, per citare un’altra sigla, dalla Fortza Paris di Gianfranco Scalas. In cosa consiste questa battaglia? Nell’attuazione dell’art. 12, comma 2°, dello Statuto speciale per la Sardegna: «Saranno istituiti nella regione punti franchi». Parole chiare e nette che per decenni hanno trovato ostacoli di ogni sorta, come quelli derivanti dal PCI, ideologicamente vicino alla programmazione e dunque 
contrario al laissez-faire delle zone franche, nonché avversario di ogni compagine politica autonomista270.
L’art. 12 ha trovato accoglimento nel decreto legislativo n. 75 del 10 marzo 1998, con il quale vennero previste le zone franche nei porti di Cagliari, Olbia, Oristano, Porto Torres, Portovesme, Arbatax, e prescrivendo che la loro ampiezza dovesse comprendere aree industriali a essi funzionalmente collegate e collegabili. La legge regionale n. 20 del 2 agosto 2013 varò poi le ulteriori norme di attuazione per renderle operative, ma fu un testo privo di effettiva applicazione271. I punti franchi non vennero concretamente perimetrati, ignorando persino l’apertura statale avuta all’epoca del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri datato 7 giugno 2001 (concernente ulteriori disposizioni per l’operatività della zona franca di Cagliari), e l’interesse al riguardo delle comunità locali.
Insomma, ripartire da un iter lasciato in sospeso, cosa che richiede pura e semplice volontà politica, sarebbe uno strumento utile anche per l’avvio e il potenziamento del processo di riconversione economica del territorio a seguito del progressivo smantellamento di alcune grandi industrie. Poli che dovrebbero lasciare spazio all’assorbimento e alla riqualificazione della manodopera nelle bonifiche e in una serie di attività che, grazie all’apporto di nuovi capitali esterni, permetterebbero il consolidamento di un rinnovato tessuto d’impresa.
Cioè
nuove aziende sostenibili, dedite ad agroalimentare e artigianato, ma anche alla logistica, e quindi alla produzione e alla trasformazione. Aziende capaci di trascinare con sé anche un know-how di conoscenze e professionalità indispensabili alla crescita del nostro tessuto economico, senza il quale non vi è consolidamento e diffusione dell’eccellenza. Ricordiamoci infatti che la prima fase, le sole bonifiche, non costituiscono un’alternativa occupazionale e di lungo termine ai problemi del territorio. Ogni processo di riconversione, pur tenendo conto della possibilità di una prossima crescita degli investimenti incentrati sulla sostenibilità ambientale, non può aggirare il problema della sostenibilità economica dell’operazione, in rapporto alle caratteristiche del nostro mercato.
Ma a queste soluzioni prevalgono inconsistenti soluzioni alternative, tra cui delle opinabili proposte di zona franca urbana, o pseudo-ZES, come quelle proposte dal PD, fondate sulla solita elargizione di denaro pubblico in compensazione a un regime fiscale sostanzialmente immutato.
Solo in presenza di un’ipotetica indipendenza dell’isola sarebbe possibile vagliare forme più efficienti di zona franca. Un ulteriore elemento da considerare riguarda infatti l’avvento dell’Unione Europea, successiva alla nascita dello Statuto autonomo regionale del 1948, che ha 
ulteriormente compresso la libertà di disegnare nuovi punti franchi. Un tentativo abortito di ricalcare la normativa del 1998 venne realizzato dalla Cagliari Free Zone, società inizialmente formata dall’Autorità portuale di Cagliari e dal Consorzio Industriale provinciale di Cagliari, relativamente alla creazione di una zona franca doganale. Il progetto atteneva alla possibilità di attirare aziende per produzioni da esportare in ambito extraeuropeo. Nei fatti, anche a causa della normativa paesaggistica, non si lavorò a una perimetrazione della zona franca, mentre la politica regionale si orientò ancora nella volontà di promuovere altre improbabili tipologie di area franca. Per esempio a Olbia, come quella non interclusa (ossia inerente un deposito franco per le merci e non un’autentica zona franca), senza risultati. Infatti, secondo una nota dell’Agenzia delle dogane e dei monopoli: «Il Codice doganale dell’Unione Europea prevede, all’articolo, un solo tipo di zona franca, quella interclusa, in cui il perimetro e i cui punti di entrata e di uscita sono sottoposti a vigilanza doganale. Le zone franche di tipo II e i depositi franchi sono stati soppressi. […] L’articolo 243 si limita a prevedere che gli Stati membri destinino alcune parti del territorio dell’Unione a zona franca. Rimane valida quindi la disposizione secondo cui per l’istituzione di una zona franca è necessaria l’emanazione di una legge»
In termini ancora più chiari: una zona franca deve essere recintata in un preciso spazio geografico (da ciò il senso di perimetrare/intercludere), con uscite e accessi vigilati. Dopodiché al loro interno si potrà eliminare il volume del fisco che invece incide al di fuori dei suoi confini. Ecco perché la miriade di comuni sardi che chiesero di inserirsi nei punti franchi previsti nel 1998 non sono mai stati presi sul serio.
Il recente Codice doganale UE275 fa dunque piazza pulita di alcune fantasiose interpretazioni sulla zona franca diffuse nell’isola, tra cui quella di immaginare un’immensa area extradoganale corrispondente a tutta la Sardegna, finalizzata a evitare imposte al consumo nel cuore del Mediterraneo occidentale. Si tratta di aree che nella realtà, in Europa, presentano dimensioni contenute, e sono generalmente situate in zone portuali, periferiche e/o di confine, come a Livigno. I comuni italiani, come predetto, non hanno il potere di istituire zone extradoganali nel proprio territorio, un’iniziativa che può svolgere solo il governo, previo accordo con l’UE, data la partecipazione dell’Italia al Mercato comune europeo (e contestualmente allo SEE). Ricordiamoci a tal proposito il primo comma dell’art. 12 dello Statuto speciale della Sardegna, il quale recita in modo chiaro e netto: «Il regime doganale della regione è di esclusiva competenza dello Stato
In conclusione, negligenza politica e mentalità assistenziale sono ben radicate e inalterate, un humus dagli echi hobbesiani in cui il libero mercato viene inquadrato come un mondo inesplorato dominato dal caos e dal disordine. Un luogo oscuro dove il conflitto non viene visto come un ordine spontaneo in cui la concorrenza rappresenta il presupposto di qualità e innovazione, ma come causa assoluta di diseguaglianze a cui rispondere con sempre più massicci interventi pubblici. Gli economisti austriaci definiscono le alterazioni prodotte da questi ultimi come conseguenze non intenzionali dell’azione politica sul mercato (per esempio, la vicenda della peste suina, inerente l’apparente bontà del sussidio e la conseguenza reale e negativa della sua applicazione, rientra in questa casistica). Difficile dunque in un simile contesto culturale, prima che politico, immaginare la nascita di nuovi e ampi distretti industriali e manifatturieri sulla falsariga del Veneto, della Lombardia o dell’Emilia Romagna, quali quelli descritti dall’economista Giacomo Becattini. In Sardegna, eccetto pochi casi, come la filiera del marmo oroseino o del sughero di Tempio e Calangianus, non esiste un indotto capace di scompattare le varie fasi del processo produttivo di determinati beni (come vedremo infatti nel capitolo VIII sull’istruzione), manca persino un adeguato capitale sociale formato alle sfide della specializzazione. Considerando inoltre che, a oggi, un ampio settore dell’industria sarda, quella chimica, rappresenta un ciclo integrato. Ossia un modello produttivo incapace di generare nel territorio circostante un indotto di imprese e dipendenti deputato a lavorare in continuità con lo stesso ambito. Il caso del Veneto, con il suo peculiare “ecosistema” produttivo, dimostra inoltre che non tutte le piccole e medie imprese costituiscono limiti economici (ad esempio derivanti dal nanismo aziendale, che porta a basse capacità di accedere al credito e di innovare, e dunque di essere maggiormente produttive). Ma la Sardegna dovrà investire parecchio anche in innovazione tecnologica. Perché? Pensiamo all’era in cui nacque un’impresa come Tiscali, frutto di uno dei rari momenti di fortunata sinergia tra settore pubblico (tramite il centro di ricerche CRS4, fondato nel 1990 e pioniere del web di tutta Italia), e settore privato (tramite imprenditori come Nicola Grauso, che attirò esperti di fama mondiale; e Renato Soru, in seguito impegnatosi in un’opinabile avventura politica). Un distretto web bruciato nel giro di pochi anni poiché ormai divenuto appannaggio di un diverso modello di business, a capital intensive, con cui i nostri piccoli privati, in termini di volume dei capitali da destinare all’innovazione, non potevano più stare al passo. 

Adriano Bomboi.


07 ottobre 2021

Abbiamo ormai messo i piedi nell’autunno, una stagione che coinvolge i nostri sensi a tutto tondo.

I profumi nell’aria, che ci avvolgono quando passeggiamo in campagna o nei parchi cittadini, con passi scricchiolanti su tappeti di foglie dorate e arancioni; la luce tagliente, limpida dopo un temporale, oppure offuscata dalla nebbiolina, specialmente al mattino o verso sera; il camino acceso e l’odore di legna bruciata; il profumo delle castagne arrostite, di una cioccolata calda, l’aroma di tè e tisane… In questa stagione è molto rilassante abbandonarsi su una poltrona, con un libro in mano e dedicarsi alla lettura.

L’autunno è una stagione amata dagli artisti, che ha ispirato scrittori e poeti, pittori e musicisti. Quel misto di malinconia, di nostalgia e di pigrizia è spesso una scintilla che solletica l’ispirazione e innesca un mood propizio alla creazione. L’autunno è spesso utilizzato come ambientazione naturale ma è anche inteso in senso metaforico, come il declino di un’epoca, di una stagione, di una società e dei suoi valori.

Che ne dite di cercare un romanzo ispirato a questa stagione, così da lasciarsi conquistare dall’atmosfera un pò sospesa e volatile di storie senza tempo?

Vi lancio qualche proposta e aspetto di ricevere anche i vostri suggerimenti. Clicca quì


Il Consiglio dei Ministri approva il disegno di legge delega per la revisione del sistema fiscale.

Il Consiglio dei Ministri, su proposta del Presidente del Consiglio, Mario Draghi, e del Ministro dell’Economia e delle Finanze, Daniele Franco, nella riunione di ieri pomeriggio ha approvato il disegno di legge delega per la revisione del sistema fiscale.

Sono quattro – è detto in una nota – i principi cardine che guidano la riforma:

lo stimolo alla crescita economica attraverso una maggiore efficienza della struttura delle imposte e la riduzione del carico fiscale sui fattori di produzione;

la razionalizzazione e semplificazione del sistema anche attraverso la riduzione degli adempimenti e l’eliminazione dei micro-tributi;

la progressività del sistema, che va preservata, seguendo i dettami della Costituzione che richiamano un principio generale di giustizia e di equità;

il contrasto all’evasione e all’elusione fiscale.

In particolare, il disegno di legge interviene sui seguenti aspetti della materia fiscale.

Sistema duale e Irpef

Il disegno di legge prevede la riforma delle imposte sui redditi personali, in particolare l’Irpef e le imposte sostitutive. Poggia su due pilastri:

il completamento del sistema duale e quindi la distinzione tra redditi da capitale e redditi da lavoro;

la riduzione delle aliquote effettive che si applicano ai redditi da lavoro.

Per i redditi da capitale è prevista la tassazione proporzionale, tendenzialmente con un’aliquota uguale per tutti i redditi da capitale, ma con gradualità. L’obiettivo è quello di razionalizzare l’attuale sistema e rendere più efficiente il mercato dei capitali.

Per i redditi da lavoro è prevista la riduzione delle aliquote effettive medie e marginali dell’Irpef, con l’obiettivo di incentivare l’offerta di lavoro, in particolare nelle classi di reddito dove si concentrano i secondi percettori di reddito e i giovani.

La delega prevede anche la revisione delle deduzioni dalla base imponibile e delle detrazioni dall’imposta (cioè delle cosiddette spese fiscali), che dovrà basarsi su una valutazione attenta dell’equità e dell’efficienza dei diversi interventi.

Infine, si prevede il riordino della tassazione del risparmio, facendo attenzione alla necessità di non generare spazi per l’elusione dell’imposta.

Tassazione di impresa Ires

In materia di tassazione del reddito d’impresa, il testo intende rendere coerente il futuro sistema con l’approccio duale. Quindi nel processo di attuazione della delega si potrà modificare la struttura delle imposte (aliquote e basi imponibili) a carico delle imprese in modo da allinearla a quella tendenzialmente e gradualmente omogena prevista per la tassazione di tutti i redditi da capitale.

All’interno di questo contesto, in ogni caso gli interventi potranno anche favorire la semplificazione dell’IRES, con l’obiettivo di ridurre gli adempimenti a carico delle imprese.

Iva e Imposte indirette

Per quanto riguarda l’Iva, si stabilisce l’obiettivo di razionalizzare l’imposta, con riguardo anche ai livelli delle aliquote e alla distribuzione delle basi imponibili tra le aliquote stesse. Si mira a semplificare la gestione del tributo e a ridurre i livelli di evasione e di erosione dell’imposta

Irap

Il testo, nell’ambito della più ampia riforma della tassazione del reddito d’impresa descritta sopra, prevede il superamento in maniera graduale dell’Irap.

Catasto

È prevista l’introduzione di modifiche normative e operative dirette ad assicurare l’emersione di immobili e terreni non accatastati. Si prevede, inoltre, l’avvio di una procedura che conduca a integrare le informazioni sui fabbricati attualmente presenti nel Catasto, attraverso la rilevazione per ciascuna unità immobiliare del relativo valore patrimoniale, in base, ove possibile, ai valori normali espressi dal mercato e introducendo meccanismi di adeguamento periodico. Questo intervento non ha tuttavia alcun impatto tributario.

Le nuove informazioni non saranno rese disponibili prima del 1° gennaio 2026 e intendono fornire una fotografia aggiornata della situazione catastale italiana. Gli estimi catastali, le rendite e i valori patrimoniali per la determinazione delle imposte rimangono quelli attuali. Le nuove informazioni raccolte non avranno pertanto alcuna valenza nella determinazione né delle imposte né dei redditi rilevanti per le prestazioni sociali.

Imposte locali

Il disegno di legge prevede la sostituzione delle addizionali regionali e comunali all’Irpef con delle rispettive sovraimposte. Il nuovo sistema potrà essere disegnato al fine di garantire comunque che nel loro complesso Regioni e Comuni abbiano un gettito equivalente. Si prevede la revisione dell’attuale riparto tra Stato e comuni del gettito dei tributi sugli immobili destinati a uso produttivo, al fine, tra l’altro, di rendere l’IMU un’imposta pienamente comunale.

Riscossione

Il testo interviene per riformare il sistema della riscossione superando l’attuale sistema che vede una separazione tra il titolare della funzione di riscossione (Agenzia delle Entrate) e il soggetto incaricato dello svolgimento dell’attività (Agenzia delle Entrate-Riscossione). Il potenziamento dell’attività potrà derivare dall’adozione di nuovi modelli organizzativi e forme di integrazione nell’uso delle banche dati che andranno valutati e definiti in sede di decreti delegati.

Codici

Si prevede la codificazione delle norme tributarie e si mira ad avviare un percorso per giungere a un riordino di tutte le norme all’interno di Codici.