31 maggio 2022

I pacifisti preferiscono sacrificare l’Ucraina per “quieto vivere”!

Pensando alla situazione in Ucraina e alla paranoia di Putin, viene da chiedersi perché non sia mai stato fatto nulla per attuare trattati che avrebbero consentito la costruzione di un continente più pacifico. Ogni volta che scoppia una guerra, è normale che ai pacifisti venga posta la domanda:

"E adesso?" 


È vero che ci sono molte persone nel mondo cosiddetto “pacifista” che predicano la non violenza in ogni tipo di situazione, e che non osano addentrarsi nella complessità del conflitto, pieno di dilemmi, paradossi e, perché, per non parlare delle contraddizioni.

Fermatevi! Il grido di pace rivolto ai due contendenti non è privo di ambiguità. Anzi, ammettiamolo, è abbastanza privo di pudore. ”Fermatevi!” gridato agli aggressori significa: smettete di attaccare! Rivolto agli aggrediti significa: smettete di difendervi! Non è proprio la stessa cosa. Aggressore e aggredito non possono essere accomunati dalla stessa perorazione. C’è un eccesso di fiducia nell’aggressore e un tono di irrisione verso l’aggredito.

Se la Russia fa la guerra, per i pacifisti la colpa è dell’Occidente, degli USA e della Nato che hanno armato l’Ucraina. Di fatto, è la versione di Putin: stavano per attaccarmi, ho dovuto difendermi.

Qui circola la favola che attribuisce alla sola Ucraina l’origine e la pratica del conflitto.

Ma vi sembra che chi ha spianato la Cecenia abbia il pudore di non intervenire in Donbass?

Otto anni di conflitto a bassa intensità preparano l’aggressione all’Ucraina. Qui interviene un altro mirabile artificio dialettico: l’Ucraina è armata! Armata dalla Nato! Che scandalo: avrebbe dovuto farsi trovare disarmata? Viene il dubbio che l’opinione pubblica dei pacifisti, avrebbe preferito l’Ucraina disarmata. Non si può dirlo ma il senso è: si sarebbe arresa subito, la guerra non ci sarebbe stata, noi non saremmo stati coinvolti.

L’Ucraina sì. Avrebbe dovuto ricadere sotto il tallone dell’Impero asiatico neosovietico. Per carità, una storia triste ma tutto sommato a fin di bene per il mondo. Quindi se la Russia fa la guerra, a ben vedere la colpa è dell’Occidente, degli USA, della Nato che hanno armato l’Ucraina. All’obiezione che gli ucraini hanno deciso di non arrendersi il punto di vista più sottile insinua che se non fossero stati armati non l’avrebbero deciso. E qui prende forma la teoria della guerra per procura. La guerra vera è quella tra USA e Russia. Gli USA, vigliacchi, non combattono e fanno combattere gli ucraini. Sottovalutata la loro volontà nel momento in cui decidono di non arrendersi, gli ucraini vengono ridotti a meri esecutori, poco meno che dementi autolesionisti, della volontà bellica altrui. Mentre l’unica reale volontà bellica, quella russa, viene declassata a eccesso di autodifesa preventiva. Che è poi, più o meno, la versione di Putin: stavano per attaccarmi, ho dovuto difendermi.

Ciò che colpisce più di tutto in questa storia è la sostanziale dimenticanza per i danni subiti dall’Ucraina e dal suo popolo. Fin dal primo giorno l’esercito russo, e l’aviazione e la flotta, hanno martellato e distrutto sistematicamente infrastrutture vitali, fabbriche, centrali elettriche, ferrovie, acquedotti, stazioni, ponti, aeroporti e porti, magazzini di cibo, e poi in rapida successione ospedali, scuole, teatri, edifici pubblici, perfino qualche chiesa. 

All’inizio un pensiero ha sfiorato la mente di tutti: tutto ciò è terribile ma se ci riflettiamo sono tutte distruzioni selettive, non stanno radendo al suolo tutto come in Cecenia e come sarebbero in grado di fare. In fondo si trattengono come se aspettassero dagli aggrediti un cenno, solo un cenno, di disponibilità alla resa. Se questo ci fosse si fermerebbero. Ma col passare dei giorni, pochi giorni, è cominciato il bombardamento dei quartieri residenziali e allo stesso tempo il disfacimento dei paesi e dei villaggi. 

C’è ormai un repertorio dei danni edilizi che nella sua ripetitività ha qualcosa di didascalico. Casermoni rimasti in piedi ma con segni neri di sfiammate nate da finestre in basso e avviluppate verso l’alto fino ai tetti, qualche balcone sfranto, qualche pezzo di parete penzolante. Casermoni sezionati dal missile, ancora in piedi alle due estremità, collassati nel mezzo con tutti gli appartamenti tagliati in verticale, le loro intimità residue messe in mostra in una vana esposizione di oggetti di vita familiare. Altri demoliti per intero con schegge di pareti verticali puntute verso il cielo. Nelle campagne, povere case appena lambite dagli scoppi hanno il tetto ridotto a pochi tegoli incrinati sostenuti a stento dalla trama dei travetti. Sono quelle fortunate. 

Altre hanno l’intero tetto crollato e qualche parete sbilenca. Altre ridotte a maceria. I colpi ricevuti mostrano la natura interna delle pareti, spesso sottili, di mattoni grigi la cui opposizione al freddo è aiutata da tavole di coibente giallastro del tutto scombinate dalle esplosioni. Interi brani di villaggi rasi al suolo. Gli orti con le loro cintature occasionali rivelano la loro modestia, ma sono quasi tutti sconvolti da buche e riempiti spesso da quantità incredibili di spazzatura bellica eterogenea. Ovunque tappeti di vetri rotti. Anche se per caso gli edifici restano in piedi l’onda d’urto delle esplosioni produce un manto scricchiolante di vetri rotti disteso come una copertura universale. Poi ci sono le scuole con le aule lasciate a precipizio per l’arrivo delle truppe russe. Non tutte risparmiate dalle esplosioni. Ovunque tutto è disabitato, solo poveri vecchi vagano alla ricerca di qualcosa. Ovunque distese di voragini da missile o da bomba aerea. 

Poi c’è Mariupol: replica di Groznij e Aleppo sul Mar d’Azov. E poi di nuovo i missili selettivi indirizzati su obbiettivi prossimi alle maggiori città, minaccia elementare: ho colpito qui, la prossima volta posso ferire la città. Non insisto e lascio da parte le stragi delle tante Bucha, i corpi delle vittime giustiziate con un colpo in testa. Si dovrebbe comporre un minuzioso repertorio di tutti i danni materiali, catalogati per luogo e tipo di danno ricevuto e farne una mostra itinerante la cui meta finale (ma ovviamente impossibile) dovrebbero essere le scuole russe. 

Allo stesso modo si dovrebbe comporre e diffondere (far ascoltare) il repertorio delle telefonate tra i soldati russi e le loro madri: un campionario che spazia dall’amor materno afflitto e senza speranza per il figlio mandato al macello alla solidarietà militante con la tortura esercitata dai figli sui prigionieri. Se e quando si è presi dai pensieri sul ruolo di causa lontana svolto dall’Occidente nell’aggressione all’Ucraina si dovrebbe avere la pazienza di ripassare mentalmente tutti gli atti di offesa volontaria che l’esercito russo ha inferto a un popolo più che fratello.

Tutti i ragionamenti che sostengono la necessità primaria di arrivare al cessate il fuoco e all’apertura di un negoziato devono misurarsi con la volontà di Putin di negarsi al confronto. Viene così scolpita una frase realistica: la Russia di Putin non può essere umiliata. Che cosa può significare? Si dovrà concedergli una qualche porzione di suo gradimento del territorio ucraino? E come si potrà combinare questa facoltà con la volontà del paese offeso di mantenere la sua integrità territoriale? Ma c’è un banco di prova ancora più inevitabile. 

Chi paga i danni di guerra? La vastità delle distruzioni inflitte all’Ucraina, l’incalcolabile peso delle vite umane cancellate e delle invalidità inflitte, i danni ambientali imposti al territorio, la carestia addossata alle popolazioni dei paesi poveri in attesa delle granaglie ucraine. 

Chi pagherà tutto questo?

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