22 luglio 2022

IL SUICIDIO DEL GOVERNO DRAGHI

I giornali che “piacciono alla gente che piace” titolano tutti lo stesso pappone indigeribile: il Figlio di Dio è risorto e non è più a Palazzo Chigi per colpa di tre Giuda irresponsabili che rispondono al nome di Matteo Salvini, Giuseppe Conte e Silvio Berlusconi. Gli autori di questa carciofata comunicazionale mal riuscita sono troppo scaltri per non aver compreso che quello di Mario Draghi è stato un suicidio e per giunta assistito dai consigli interessati di Enrico Letta. Le motivazioni non sono ancora chiare: quella più ardita vorrebbe un Mario Draghi alla guida di un nuovo “campo largo” capace di competere con il centrodestra alle prossime elezioni. Altri retroscena ipotizzano nuovi prestigiosi incarichi internazionali sopraggiunti, mentre qualcuno insinua che sia imminente una staffetta tra Sergio Mattarella e lo stesso Mario Draghi. Io non ho la ben che minima idea di cosa si celi dietro un simile gesto ma di contro nutro pochi dubbi nel rinvenire la cosiddetta pistola fumante dalle parti di Palazzo Chigi: Mario Draghi ha cioè posto fine volutamente all’Esecutivo in carica.
Nei diciotto mesi di vita del Governo Draghi era capitato in altre occasioni (pensiamo alla Riforma del catasto ma non solo) che si creassero frizioni tra l’Esecutivo e pezzi di maggioranza, senza che ciò trascendesse nelle dimissioni del premier. Poi invece capita che a un certo punto, per portare avanti una battaglia identitaria, Giuseppe Conte dia mandato ai suoi di votare contro il “Decreto Aiuti” – ben sapendo che sarebbe passato comunque – generando una reazione inaspettata di Mario Draghi, con conseguenti dimissioni consegnate nelle mani del Capo dello Stato. Perché proprio adesso questa drammatizzazione dello scontro a opera di Palazzo Chigi? Se poi aggiungiamo che la battaglia identitaria l’aveva iniziata il Partito Democratico, creando fibrillazioni in Parlamento proprio in queste settimane, con la Legge Zan (bis) e con lo Ius scholae, allora avremo anche un ulteriore indizio sulla mano che ha appiccato dolosamente l’incendio elettoral-propagandistico in Parlamento.
Un ulteriore indizio sulla pretestuosità della crisi che stiamo vivendo è da rinvenirsi nel comportamento di Sergio Mattarella: quando Mario Draghi si è presentato dimissionario dal Capo dello Stato, le dimissioni sono state respinte con preghiera di parlamentarizzare la questione ovvero rendere “politico” il tentativo di composizione dello strappo. Mario Draghi avrebbe potuto sedersi attorno a un tavolo con i leader, nel tentativo di trovare la quadra. In alternativa, avrebbe potuto accettare la strada proposta dal centrodestra: una maggioranza senza i Cinque Stelle che non avrebbe comportato disequilibri politici, visto che l’anima grillina era comunque rappresentata dalla componente facente capo a Luigi Di Maio. Come ulteriore opzione, avrebbe potuto compiere un gesto distensivo nei confronti di Giuseppe Conte, dandogli la possibilità di uscirne con decoro. Nulla di tutto ciò: Mario Draghi ha preteso da subito che la maggioranza rimanesse invariata, ha convocato solo Enrico Letta a Palazzo Chigi (il centrodestra è stato ricevuto solo dopo vibranti proteste) e, non contento, ha continuato a gettare benzina sulla polemica con la componente Pentastar. Insomma, ha creato ad arte un problema senza soluzione: se rientra Giuseppe Conte escono Forza Italia e la Lega. E se qualcuno prova a proporre una maggioranza altrettanto larga ma diversa dalla precedente, salta comunque tutto per indisponibilità del premier. Per essere sicuro di sfasciare senza lasciare nulla in piedi, dopo la mancata “politicizzazione della crisi”, Mario Draghi ha pensato bene di presentarsi in Senato pronunciando un discorso sferzante e divisivo proprio nei confronti del centrodestra e dei Cinque Stelle, costringendo di fatto queste due componenti allo strappo.
Da ultimo, animato da un chiaro istinto suicida, Mario Draghi ha chiesto che fosse posta la fiducia sulla mozione presentata da Pier Ferdinando Casini, facendo decadere quella presentata da Roberto Calderoli e chiudendo ogni margine di trattativa con il centrodestra. Una mirabile sintesi di quanto accaduto in Parlamento è stata fornita dal Fatto Quotidiano: Draghi prende a calci M5S e Lega che non lo votano (e cosa avrebbero potuto fare, porgere l’altra guancia?). Detto questo, vogliamo forse pensare che Mario Draghi sia uno sprovveduto capace di inanellare una serie infinita di errori tattici o vogliamo forse ipotizzare che il presidente del Consiglio abbia indossato scientemente una casacca smaccatamente di parte, inducendo la sua maggioranza all’implosione? A Palazzo Madama il centrodestra e i Cinque Stelle hanno lanciato l’ultima evidente ciambella di salvataggio al Governo Draghi, uscendo dall’aula o non votando. Ciò per far passare una fiducia “tecnica” più che sostanziale (una non sfiducia) nella speranza di poter compiere un supplemento di trattativa. Mario Draghi non ha raccolto l’invito e si è recato al Quirinale per reiterare le dimissioni.
Adesso la strada maestra è rappresentata dalle elezioni. Ma che non si dica che Mario Draghi sia caduto a causa della politica. Mario Draghi è caduto perché ha tagliato qualsiasi canale di trattativa con una parte della propria maggioranza. Con Enrico Letta, invece, i canali sono rimasti sempre aperti. Le fuoriuscite da Forza Italia (Mariastella Gelmini, Renato Brunetta, Andrea Cangini) lasciano ipotizzare che il nuovo “campo largo” voluto da Enrico Letta adesso vada da Luigi Di Maio, fino ad un fantomatico solito nuovo soggetto di centro dentro cui confluiranno Matteo Renzi, Carlo Calenda e i transfughi di Forza Italia. Il nuovo leader ombra del centrosinistra finalmente ha un nome e cognome: si chiama Mario Draghi. Altro che attentato parlamentare al Governo di salvezza nazionale. Questa è una lucida operazione, per rendere competitivo un centrosinistra dato per spacciato alle elezioni e dotarlo di un nuovo leader (o forse padre nobile) attribuendo ad altri la responsabilità della crisi di Governo. La prossima competizione elettorale lampo (il 25 settembre) sarà nel nome di Mario Draghi e vedrà contrapposta la coalizione dei suoi fedelissimi al centrodestra (mentre i Cinque Stelle, verosimilmente, spariranno dai radar). Resta da capire in quale forma l’ex banchiere centrale vorrà lasciarsi coinvolgere nella lotta.

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