I giornali che “piacciono alla gente che piace” titolano tutti lo
stesso pappone indigeribile: il Figlio di Dio è risorto e non è più a Palazzo
Chigi per colpa di tre Giuda irresponsabili che rispondono al nome
di Matteo Salvini, Giuseppe Conte e Silvio Berlusconi. Gli
autori di questa carciofata comunicazionale mal riuscita sono troppo
scaltri per non aver compreso che quello di Mario Draghi è stato
un suicidio e per giunta assistito dai consigli interessati di Enrico
Letta. Le motivazioni non sono ancora chiare: quella più ardita vorrebbe un
Mario Draghi alla guida di un nuovo “campo largo” capace di competere con
il centrodestra alle prossime elezioni. Altri retroscena
ipotizzano nuovi prestigiosi incarichi internazionali sopraggiunti, mentre
qualcuno insinua che sia imminente una staffetta tra Sergio Mattarella e
lo stesso Mario Draghi. Io non ho la ben che minima idea di cosa si celi
dietro un simile gesto ma di contro nutro pochi dubbi nel rinvenire la
cosiddetta pistola fumante dalle parti di Palazzo Chigi: Mario Draghi ha
cioè posto fine volutamente all’Esecutivo in carica.
Nei diciotto mesi di vita del Governo Draghi era capitato in altre
occasioni (pensiamo alla Riforma del catasto ma non solo) che si
creassero frizioni tra l’Esecutivo e pezzi di maggioranza, senza che ciò
trascendesse nelle dimissioni del premier. Poi invece capita che
a un certo punto, per portare avanti una battaglia identitaria, Giuseppe Conte
dia mandato ai suoi di votare contro il “Decreto Aiuti” – ben sapendo che
sarebbe passato comunque – generando una reazione inaspettata di Mario Draghi,
con conseguenti dimissioni consegnate nelle mani del Capo dello Stato.
Perché proprio adesso questa drammatizzazione dello scontro a opera di Palazzo
Chigi? Se poi aggiungiamo che la battaglia identitaria l’aveva iniziata
il Partito Democratico, creando fibrillazioni in Parlamento proprio
in queste settimane, con la Legge Zan (bis) e con lo Ius scholae,
allora avremo anche un ulteriore indizio sulla mano che ha appiccato
dolosamente l’incendio elettoral-propagandistico in Parlamento.
Un ulteriore indizio sulla pretestuosità della crisi che
stiamo vivendo è da rinvenirsi nel comportamento di Sergio Mattarella:
quando Mario Draghi si è presentato dimissionario dal Capo dello Stato, le
dimissioni sono state respinte con preghiera di parlamentarizzare la questione
ovvero rendere “politico” il tentativo di composizione dello strappo.
Mario Draghi avrebbe potuto sedersi attorno a un tavolo con i leader, nel
tentativo di trovare la quadra. In alternativa, avrebbe potuto accettare la
strada proposta dal centrodestra: una maggioranza senza i Cinque Stelle che
non avrebbe comportato disequilibri politici, visto che l’anima grillina era
comunque rappresentata dalla componente facente capo a Luigi Di Maio. Come
ulteriore opzione, avrebbe potuto compiere un gesto distensivo nei confronti di
Giuseppe Conte, dandogli la possibilità di uscirne con decoro. Nulla di
tutto ciò: Mario Draghi ha preteso da subito che la maggioranza rimanesse
invariata, ha convocato solo Enrico Letta a Palazzo Chigi (il centrodestra è
stato ricevuto solo dopo vibranti proteste) e, non contento, ha continuato a
gettare benzina sulla polemica con la componente Pentastar. Insomma, ha
creato ad arte un problema senza soluzione: se rientra Giuseppe Conte
escono Forza Italia e la Lega. E se qualcuno prova a proporre
una maggioranza altrettanto larga ma diversa dalla precedente, salta comunque
tutto per indisponibilità del premier. Per essere sicuro di sfasciare senza
lasciare nulla in piedi, dopo la mancata “politicizzazione della crisi”, Mario
Draghi ha pensato bene di presentarsi in Senato pronunciando un
discorso sferzante e divisivo proprio nei confronti del centrodestra e dei
Cinque Stelle, costringendo di fatto queste due componenti allo strappo.
Da ultimo, animato da un chiaro istinto suicida, Mario Draghi ha
chiesto che fosse posta la fiducia sulla mozione presentata da Pier
Ferdinando Casini, facendo decadere quella presentata da Roberto Calderoli e
chiudendo ogni margine di trattativa con il centrodestra. Una mirabile sintesi
di quanto accaduto in Parlamento è stata fornita dal Fatto Quotidiano:
Draghi prende a calci M5S e Lega che non lo votano (e cosa avrebbero potuto
fare, porgere l’altra guancia?). Detto questo, vogliamo forse pensare che Mario
Draghi sia uno sprovveduto capace di inanellare una serie infinita di errori
tattici o vogliamo forse ipotizzare che il presidente del Consiglio abbia
indossato scientemente una casacca smaccatamente di parte, inducendo la sua
maggioranza all’implosione? A Palazzo Madama il centrodestra e i Cinque Stelle
hanno lanciato l’ultima evidente ciambella di salvataggio al Governo Draghi,
uscendo dall’aula o non votando. Ciò per far passare una fiducia “tecnica” più
che sostanziale (una non sfiducia) nella speranza di poter compiere un
supplemento di trattativa. Mario Draghi non ha raccolto l’invito e si è recato
al Quirinale per reiterare le dimissioni.
Adesso la strada maestra è rappresentata dalle elezioni. Ma che non si
dica che Mario Draghi sia caduto a causa della politica. Mario Draghi è caduto
perché ha tagliato qualsiasi canale di trattativa con una parte della propria
maggioranza. Con Enrico Letta, invece, i canali sono rimasti sempre aperti. Le
fuoriuscite da Forza Italia (Mariastella Gelmini, Renato Brunetta, Andrea
Cangini) lasciano ipotizzare che il nuovo “campo largo” voluto da Enrico Letta
adesso vada da Luigi Di Maio, fino ad un fantomatico solito nuovo soggetto
di centro dentro cui confluiranno Matteo Renzi, Carlo
Calenda e i transfughi di Forza Italia. Il nuovo leader ombra
del centrosinistra finalmente ha un nome e cognome: si chiama Mario
Draghi. Altro che attentato parlamentare al Governo di salvezza nazionale.
Questa è una lucida operazione, per rendere competitivo un centrosinistra dato
per spacciato alle elezioni e dotarlo di un nuovo leader (o forse padre nobile)
attribuendo ad altri la responsabilità della crisi di Governo. La prossima
competizione elettorale lampo (il 25 settembre) sarà nel nome di Mario
Draghi e vedrà contrapposta la coalizione dei suoi fedelissimi al centrodestra
(mentre i Cinque Stelle, verosimilmente, spariranno dai radar). Resta da capire
in quale forma l’ex banchiere centrale vorrà lasciarsi coinvolgere nella lotta.
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