04 novembre 2022

Conte da avvocato del popolo a Mr. Bean della politica italiana il passo è breve, e nessuno l’ha imparato meglio dell’ex premier.

Immaginate per un attimo di trovarvi nei panni del biografo ufficiale di Giuseppe Conte e di dover assolvere al (difficile) compito di scrivere una memoria che possa restituire il ritratto di un uomo tormentato e mettere in fila le fasi che hanno scandito il suo (travagliato) percorso politico.

Siete seduti alla scrivania da ore e fissate lo schermo sconsolati, attendendo un segnale dall’alto che possa consentirvi di buttare giù un incipit per quanto possibile decoroso; il tempo passa, i caffè e le sigarette aumentano, ma la solfa non cambia: vi rendete conto che scacciare lo spauracchio della pagina bianca è impossibile.

Vi fermate a pensare, indagando le cause che hanno generato la vostra stasi. Dopo una lunga pausa di riflessione, ne individuate almeno tre: gli spunti narrativi sono tantissimi, così tanti che sceglierne uno significherebbe fare un torto a tutti gli altri; le tesi si contraddicono tra loro, smentendosi a vicenda e impedendo alla narrazione di ingranare; e, soprattutto, lo spazio temporale in cui dovrebbero dipanarsi gli eventi (meno di 4 anni) è decisamente troppo ristretto per contenere la miriade di aneddoti, frasi a effetto, lotte fratricide, ascese, cadute e risalite che hanno reso l’arco di trasformazione contiano un unicum.

Sì perché, anche se può suonare straniante, nella lunga epopea della politica italiana Giuseppe Conte rappresenta una parentesi breve e trascurabile: si è affacciato sulla scena politica nel maggio del 2018, grazie a un colpo di teatro targato Salvini-Di Maio che ha agevolato la sua ascesa, trasformando un anonimo professore universitario di stanza a Firenze in un altrettanto anonimo presidente del Consiglio.

Da quel maggio schizofrenico abbiamo conosciuto diversi Giuseppe Conte: in principio l’avvocato del popolo, garanzia del mantenimento dell’alleanza giallo-verde, firmatario entusiasta di ben due Decreti sicurezza (uno più schifoso e ignobile dell’altro) e burattino nelle mani di un ministro dello Sviluppo Economico convinto di aver abolito la povertà con una mancetta e di un ministro dell’Interno che non perdeva occasione per urlare a squarciagola che «per i clandestini è finita la pacchia»; nel  mezzo  il premier trasformista che, in un raro lampo di lucidità, dà sfoggio di tutto il suo coraggio e, emulando il sussulto di dignità di Fantozzi nella storica partita a biliardo con l’Onorevole Catellani, sceglie di ribellarsi al padrone e risolvere una crisi di governo nella maniera più democristiana possibile, ossia passando senza il minimo di pudore nel campo dei nemici; la terza fase del Conte politico è quella di un uomo che prova a mostrarsi rassicurante agli occhi di un popolo che si sta innamorando incomprensibilmente di lui, che non osa differire di una sillaba dall’agenda dettata da Rocco Casalino e che si trova a gestire in maniera dilettantistica una pandemia che sta mietendo migliaia di vittime e che ha preso il mondo intero in contropiede. Il quarto stadio è quello che ha messo in scena la caduta di un uomo rimasto solo, defenestrato da una vecchia volpe come Matteo Renzi e sostituito dalla figura più autorevole d’Europa.

La quinta stagione era iniziata da poco, e per la verità era partita con poco mordente: da idolo di una nazione a capo politico di un partito morente e cannibalizzato dalle sue stesse contraddizioni e – dopo il danno, la beffa – costretto pure a contendersi la carcassa con il Luigi Di Maio.

Conte da avvocato del popolo a Mr. Bean della politica italiana il passo è breve, e nessuno l’ha imparato meglio dell’ex premier. Consoliamoci, però; se l’incipit per il nostro memoriale rappresenterebbe un ostacolo a tratti insormontabile, per la conclusione avremmo la strada spianata: «Passano gli anni, ma per Giuseppe Conte perdere è sempre un’avventura meravigliosa».


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