23 gennaio 2024

Gigi Riva era diverso anche ai suoi tempi.

Se n'è andato Rombo di Tuono, uno dei più grandi calciatori italiani, che già mezzo secolo fa tutti ammiravano ma faticavano a definire. Rombo di Tuono. Questo era il suo soprannome, questo è stato per tutti Gigi Riva, scomparso oggi a 79 anni, tradito da quel cuore che aveva sempre usato più di ogni altro. Riva è stato qualcosa di unico nel panorama italiano, dentro e fuori dal campo con lui non esistevano, erano tutt'uno. Lo fu negli anni in cui il calcio in Italia cambiava, cominciava ad essere un'operazione anche economica, mutava pelle e assieme anche i suoi interpreti. Se non è stato un ultimo dei Mohicani, Gigi Riva ci è andato molto vicino, perché è stato uno degli ultimi giocatori ad anteporre gli effetti, il senso di appartenenza e soprattutto la lealtà, alle possibilità che gli avrebbero potuto offrire club più potenti e importanti del Cagliari, negli anni in cui era considerato l'attaccante più forte del mondo.

Lui, lombardo di Leggiuno, poco fuori Varese, quando migliaia di meridionali andavano verso il Nord Italia e il resto del mondo, con valigie tenute assieme con lo spago e tanti sogni, compì il tragitto inverso. Pur controvoglia finì in quell'isola di uomini orgogliosi, diversi da tutti gli altri. Della Sardegna Gigi Riva sarebbe stato qualcosa di più di una bandiera, sarebbe stato un condottiero, un eroe, un simbolo di riscatto, di ribellione anche, verso quel mondo del calcio che era soprattutto settentrionale. Ogni meridionale, non solo ogni sardo, che si guadagnava il pane nelle fabbriche, cantieri, acciaierie e veniva chiamato terrone, trovò in Rombo di Tuono un motivo per essere orgoglioso. Fu Gianni Brera a dargli quel soprannome, una delle tante intuizioni geniali della sua penna. Lui, così spesso parco di complimenti, adorò Riva come lo adorò quel vasto di mondo della cultura che intuì di trovarsi di fronte a un atleta omerico. La sua unicità all'interno del panorama calcistico italiano fu rivoluzionaria, col suo saper unire doti fisiche e atletiche di prima grandezza, con una potenza, una capacità di essere al momento giusto al posto giusto, che lo resero in pochi anni un grande protagonista della serie A. Infanzia dura e difficile, genitori scomparsi presto, lavorava in un'azienda produttrice di ascensori, fino a quando il Legnano lo portò in Serie C. Era il 21 ottobre 1962 quando Riva metteva per la prima volta i piedi in campo in un campionato che contava. Neppure un anno più tardi e su di lui piombava il Cagliari di Corrias, che lo prese per 37 milioni di lire.

Aveva 19 anni Gigi, nessuno poteva pensare che sarebbe stato il simbolo di un ciclo incredibile, di una favola calcistica che avrebbe portato i suoi frutti più dorati sei anni più tardi, con lo scudetto diventato leggenda. Era già diventato Campione d'Europa con quella Nazionale italiana, dove all'inizio fu uno dei tanti snobbati da Edmondo Fabbri. Albertosi, Cera, Gori, Domenghini e poi lui, Gigi Riva, che anticipò Maradona nell'usare il piede destro soltanto per salire sul bus. A lungo lo stesso Brera discusse se lo si potesse definire ala oppure attaccante universale, forse uno dei primi ad essere tale, ad anticipare ciò che oggi è norma, con quella capacità di partire laterale per poi accentrarsi, spaziare un po' su tutto il fronte offensivo. Fortissimo anche nel gioco aereo, Gigi Riva seppe sempre essere anche utile in copertura, tutto un insieme di virtù che non potevano che attirare su di lui anche le mire di un club come la Juventus. Il gran rifiuto di Riva, reiterato negli anni tra l'altro, rimane uno dei momenti più importanti dello sport italiano, anche uno dei più romantici, con quel miliardo di lire rifiutato per rimanere lì, in mezzo a quella gente che era diventata la sua gente, indipendentemente dalla miseria della loro situazione. "Quando vedevo la gente che partiva dalle 8 da Sassari e alle 11 lo stadio era già pieno capivo che per i sardi il calcio era tutto" avrebbe ricordato in seguito "Ci chiamavano pecorai e banditi in tutta Italia e io mi arrabbiavo". La sua ribellione poi dal campo di calcio si sarebbe trasferita anche altrove, nel campo privato, con la relazione con Gianna Tofanari, una donna sposata, che lo fece finire sulle prime pagine dei giornali, osteggiato dalla parte più conservatrice e reazionaria del paese. Anche in questo, pur senza volerlo, Gigi riva è stato in anticipo sui tempi.

Del calcio che era ancora uno sport dal popolo del popolo e per il popolo, Riva è stato il custode. Assieme a Mazzola, Gianni Rivera, Facchetti, Boninsegna, Burgnich fu protagonista di quella squadra azzurra che fece la storia. Dopo la vittoria negli Europei in casa, ai Mondiali in Messico si dannò l'anima in ogni partita, fu protagonista della mitica semifinale contro la Germania del Kaiser Franz Beckenbauer. I suoi abbracci con Rivera sono tra i momenti più emotivamente potenti della storia azzurra, lì si capisce la sua essenza di calciatore, di uomo: agonismo puro. "Fuori dal campo una persona assolutamente normale" ricordò una volta Albertosi "ma quando giocava diventava una bestia". Era vero. La forza di volontà che seppe far sua, gli avrebbe permesso anche di superare gravissimi infortuni, ivi compresa una frattura al perone che fece temere per la sua carriera. Sempre col Cagliari, solo col Cagliari, con cui chiude la carriera solo i 32 anni, dopo l'ennesimo infortunio. Schivo, un po' burbero, franco e sincero nei modi, è stato il Comandante del Cagliari da Dirigente e Presidente, dimostrando un'incredibile abilità manageriale, a dispetto di una scarsezza in termini monetari, che in fin dei conti era stata triste compagna dei sardi anche quando centrò uno scudetto che avrebbe avuto soltanto nel Verona di Bagnoli un erede narrativo.

Avrebbe sostenuto il "Casteddu" anche negli anni '80, nei momenti più difficili e duri. Da dirigente accompagnatore della Nazionale, l'immagine che di lui rimane più viva ancora oggi, è qualcosa a metà tra la gloria e la tristezza. Fu quell'abbraccio paterno con l'altro grande, eroe del nostro calcio: Roberto Baggio, in lacrime dopo la semifinale di USA 94 per l'infortunio. C'è lui che lo consola perché forse ha già capito come andrà a finire, perché c'era un'aurea di malinconica anche in Riva, di cui hanno scritto Pasolini e Angioni, a cui hanno dedicato canzoni, centri sportivi, ma la verità è che Riva quello che ha creato di consistente ed eterno, lo ha fatto in campo. Non gli andò mai giù il pallone d'oro scivolato via sul più bello, qualche torto arbitrale e la sfortuna che privò il Cagliari di altre vittorie. Eppure esemplare era la sua umiltà, il suo voler sempre ricordare a tutti che più in alto di lui in azzurro ci stavano Meazza e Piola. Con Gigi Riva oggi se ne va un monumento del nostro sport, nel senso più alto e nobile del termine, un esempio di rettitudine e di etica, di coerenza. Oggi i capitani mollano tutto per 30 denari in Arabia, poi fanno retromarcia, si battono la mano sul petto e intanto il procuratore già sta chiedendo chi è interessato. Per questo, anche per questo ma non solo, Rombo di Tuono sarà per sempre l'eroe per eccellenza del nostro pallone.

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