Ho sempre ritenuto che la linea più breve tra due punti fosse la
retta, ma guardando alle posizioni sul coronavirus di alcuni intellettuali e
forze sociali, oltre che dei ribellisti anarcoidi, ho l’impressione che oggi da
noi (ma non solo da noi) per taluni sia invece l’arabesco. Si è visto ben poco
contro il regime di vera segregazione coatta chiamato lockdown, pericolosamente
costoso e corredato di mascherine obbligatorie, durato per molti mesi, imposto
assai duramente e di (ahimè) non grande efficacia (non si vede, sui grandi
numeri, una chiara, evidente, conclamata, differenza statistica tra Paesi che
hanno chiuso molto, poco o per nulla), mentre è in atto una effervescente
mobilitazione contro i vaccini, che, diffusi ormai in miliardi di dosi, stanno
dimostrando, con una invece enorme e chiara evidenza statistica, di salvare
davvero la gente con rischio minimo e, in più, comportando solo una molto
piccola e ben limitata perdita di tempo e libertà. Ho sempre ritenuto che, in materia di ricerca scientifica, fosse il
metodo sperimentale con la complessa discussione, analisi e interpretazione dei
suoi risultati, fatta tra i competenti fino a un loro il più possibile concorde
consenso, la procedura corretta per arrivare a “conoscere per deliberare”,
tanto da parte dei protagonisti del mercato che da parte delle autorità
democratiche e così in effetti è stato, dall’Illuminismo in poi e per due
secoli nei Paesi liberali. Ma, oggi, la società psicologica di massa, così come
ha trasformato i tifosi di calcio in milioni di pretesi direttori tecnici da
bar, con la pandemia ha reso le brave massaie, i disinvolti opinionisti e gli
attivisti politici, dei convinti e vocianti virologi, patologi e statistici,
che, pur molto divisi, pretendono tutti però di essere subito ascoltati e
seguiti, anche se non si sa bene come e perché. Il dibattito scientifico,
necessario sempre e specie di fronte ad ogni fenomeno nuovo, che di norma si
svolge tra esperti secondo la sequenza: ipotesi, teoria matematicamente
definita, teoria sperimentalmente confermata, tende invece sempre più a
traferirsi sulla pubblica piazza della comunicazione di massa, dove le semplici
ipotesi, all’inizio naturalmente differenti, vengono presentate come compiute
teorie contrapposte, diffondendo la falsa convinzione che la scienza sia
incapace di arrivare a conoscenze reali ed acquisite, mentre gli scienziati
(veri o presunti), sollecitati in ogni modo, vengono strumentalizzati e
trasformati in combattenti nell’arena da una democrazia mediatica degenerata in
demagogia.
Ho sempre ritenuto che la scienza debba avere un atteggiamento di
neutrale obiettività nello studio della realtà che ci circonda, il che non vuol
dire affatto che, al di là del puro dato scientifico, non vi siano poi dei
valori veri, vari e diversi, da salvaguardare, ma vuol dire che i dati
scientifici non possono essere alterati per renderli funzionali ad una o altra
tesi. Quando però la tifoseria politica spinge gli schieramenti contrapposti a “filtrare”
(prima di tutto a se stessi) le informazioni per vedere, considerare e
diffondere solo quelle considerate favorevoli al proprio partito preso e per di
più senza nessuna considerazione della attendibilità e soprattutto della
validità generale dei dati esaminati, viene falsato il dibattito e rifiutata la
conoscenza.
I “tifosi” di un certo comunismo infantile, quando, con violenti
accenti di indignazione, indicano al pubblico ludibrio gli aperturisti
(riservando ovviamente a sé il monopolio del senso civico) con argomentazioni
drammatiche e del tutto generiche sui milioni di morti o sulla desertificazione
del mondo, forzano e confondono la realtà per suggerire che, in fondo in fondo,
gli “altri” siano degli untori e in qualche modo quasi corresponsabili delle
immancabili catastrofi. Ma le persone di destra, la mia parte, di cui pure
apprezzo moltissimo i dubbi e le resistenze (in tutto il mondo) alla allegra
facilità con cui i falsi progressisti si sbarazzano di una libertà che non
hanno mai amato, non possono e non devono mai stravolgere a loro volta i dati,
fino a confondersi con quegli oltranzisti che negano i vaccini, quando non
l’esistenza stessa del virus. La paura indotta e la negazione della realtà sono
entrambe pessime consigliere.
Ho sempre ritenuto, perché i liberali non sono degli anarchici, che la
società organizzata in Stato possa imporre delle regole ai cittadini, ma che
queste regole debbano sempre e solo essere quelle che più tutelano anche la
libertà personale e che lo stato democratico non debba mai sentirsi come una
superiore entità rappresentativa della totalità dei cittadini e della loro
volontà, uno stato etico insomma, ma solo come un semplice governo della cosa
pubblica, una necessità inevitabile, ma anche potenzialmente pericolosa (si
pensi solo alle guerre, all’oppressione fiscale o alla pretesa di cambiare
autoritariamente la società sottostante). Uno stato democratico può certo
trovarsi nella condizione di dover affrontare e gestire con mezzi straordinari
una fase di emergenza, ma deve farlo secondo legge e solo per tempi molto
limitati, perché altrimenti la legge d’emergenza viene ad assumere
caratteristiche permanenti che mutano l’essenza dello Stato e lo trasformano in
totalitario. E questo accade anche quando l’emergenza è una pandemia che
divenga endemia.
Ho sempre ritenuto che salute, conoscenza, senso civico e libertà
debbano procedere sempre assieme, come valori tutti da salvaguardare, perché
poi rendono la vita non solo tutelata, ma degna d’essere vissuta e che questo
sia vero sempre, ma soprattutto ovviamente nelle scelte politiche. Anche per il
Covid-19. Allo stato delle attuali conoscenze, fissati i criteri che, a mio
giudizio, dovrebbero orientare le scelte di governo nel futuro prossimo, credo
che, al di là di tutti i possibili sviluppi (dalla medicina, alle varianti,
all’economia), oggi vi siano due scenari principali possibili, o raggiungeremo
una sufficiente e significativa immunità di comunità per spontanea adesione,
fino a superare l’alta soglia necessaria per riportare il Covid nel novero
delle malattie contagiose con cui abbiamo imparato a convivere, o dovremo
arrivarci per forza di legge. Mentre sul piano mondiale dovremo isolare i Paesi
che non vogliono i vaccini e aiutare quelli che non possono comprarli. Ma in
tutti i casi la libertà va comunque il più possibile salvaguardata dal
legislatore e l’emergenza deve finire assieme a tutti i provvedimenti
emergenziali. Voglio dire che non sono più prolungabili il coprifuoco, le
schedature, il divieto di circolare, di incontrarsi, di lavorare, di vivere
liberi, perché il Covid non scomparirà dopodomani nel nulla, perché quei mezzi
non sono risultati realmente efficienti, perché le perdite di vite indotte dai
provvedimenti emergenziali non le abbiamo mai calcolate, perché le libertà
costituzionali fanno parte del vivere anch’esse, perché il rischio zero non
esiste in natura. Chi vorrà mantenere mascherina, distanziamento, rarefazione
delle uscite, lo farà per sua scelta e magari farà anche bene, perché oltre ad
una molto relativa protezione lo farà sentire più sicuro, ma su base
volontaria.
Del pari è però potenzialmente pericoloso adoperare il Green pass per
introdurre divieti a lungo termine per tutte le normali attività, perché
costituisce un precedente che un domani potrebbe essere riscoperto, con altre e
molto meno giustificate motivazioni, dagli autocrati di turno. Tutto questo
tuttavia ha un costo, un necessario costo. Se non raggiungiamo la soglia che i
dati ci indicheranno come necessaria, i vaccini anti-Covid (e le loro eventuali
evoluzioni future) andranno resi obbligatori, come del resto è stato in passato
ed è anche oggi per tanti altri. Togliamo ovviamente coloro che possano
dimostrare di essere allergici ai vaccini o con particolari patologie,
aspettiamo doverosamente una particolare casistica per decidere per i minori di
dodici anni, ma gli altri, visto che comunque, pur senza un’ancora completa
determinazione quantitativa, sembra ormai confermato saranno non solo ben
protetti degli esiti gravi della malattia, ma anche molto meno in grado di
contagiare, vanno vaccinati, perché non è solo la nostra personale salute in
gioco, ma anche quella di tutti. D’altro canto la Libertà ha un prezzo, l’ha
sempre avuto e oggi è anche un vaccino.
Le tifoserie che vorrebbero mantenere oltre all’obbligo vaccinale,
anche tutto chiuso, o vorrebbero tutto riaperto senza vaccini, posso sbagliare,
ma mi sembrano, appunto, tifoserie. Vaccino generalizzato e fine dell’emergenza
vanno assieme. Visione semplicistica? No, non credo, lineare semmai e,
comunque, ricordiamo che spesso, molto spesso “Simplex sigillum veri” (“Il
semplice è il sigillo del vero”, così ammonivano i Latini e l'antica massima
vale anche oggi, ...).